Dopo 14 trimestri consecutivi dallo zero in giù, nel primo trimestre 2015 l’Italia tornerà a crescere: la variazione del Pil attesa è pari al +0,1%. Lo dice l’Istat, che oggi ha diffuso la sua nota mensile sull’andamento dell’economia.
I segnali positivi
«I segnali positivi sull’economia italiana si rafforzano», fa notare l’Istituto nazionale di statistica. L’indicatore composito anticipatore dell’economia «ha registrato a dicembre una variazione positiva per il secondo mese consecutivo». Per il primo trimestre 2015 «è previsto il ritorno alla crescita del Pil». Al miglioramento delle opinioni di consumatori e imprese registrate a febbraio, rileva l’Istat, «si affianca l’aumento della produzione industriale a dicembre e quello del fatturato dei servizi nel quarto trimestre del 2014». La variazione congiunturale reale del Pil prevista per il primo trimestre «è pari a +0,1%, con un intervallo di confidenza compreso tra -0,1% e +0,3%. Tale risultato è la sintesi del contributo ancora negativo della domanda interna (al lordo delle scorte) e dell’apporto favorevole della domanda estera netta». L’ultimo aumento risaliva al secondo trimestre 2011.
Le difficoltà residue, lavoro in testa
Se la luce torna a intravedersi, le ombre permangono. A partire dal mercato del lavoro che - si legge nella nota - «non mostra chiari segnali di un’inversione di tendenza rispetto a quanto osservato negli scorsi mesi». Il tasso dei posti vacanti nell’industria e nei servizi è rimasto stabile nel quarto trimestre 2014 allo 0,5%. Una stazionarietà che dura dall’ultimo trimestre del 2013 e che «riflette la fase di stagnazione che si osserva dal lato della domanda di lavoro». A febbraio le attese di occupazione formulate dagli imprenditori per i successivi tre mesi continuano a variare in base ai settori: in crescita nella manifattura, stabili nei servizi, in peggioramento nelle costruzioni.
Prezzi: la deflazione si attenua
In questo inizio d’anno, sottolinea l’Istat, si vanno concretizzando sui pressi al consumo gli effetti diretti e indiretti dei forti ribassi del barile. L’indice dei prezzi al consumo per la collettività è calato dello 0,6% su base annua a gennaio e dello 0,2% a febbraio, secondo le stime preliminari. La riduzione dei costi di produzione, conseguenza del taglio dei prezzi energetici, ha contribuito a contenere l’inflazione di fondo (+0,5% a febbraio).
Cresce la fiducia dei consumatori
Nel terzo trimestre 2014 la spesa delle famiglie ha registrato un lieve aumento (+0,1% la variazione congiunturale), trend che dovrebbe proseguire. A febbraio si è registrato un deciso miglioramento del clima di fiducia dei consumatori, soprattutto nei giudizi relativi alla situazione economica.
Lo spread torna al maggio 2010: scende sotto quota 100
Chiusura debole per le Borse europee e per Wall Street, che chiude in calo ma archivia il suo miglior mese dal 2011, con il Dow Jones che termina in flessione dello 0,45%, il Nasdaq segna un ribasso dello 0,49%. Il movimento più rilevante, però, ha riguardato i titoli di Stato. Lo spread BTp-Bund sulla scadenza decennale è sceso, durante le contrattazioni e secondo il terminale Bloomberg, sotto la soglia dei 100 punti base per la prima volta dal maggio 2010. Una dinamica che il presidente del consiglio Matteo Renzi ha commentato con un Tweet «Spread sotto quota 100, mille ex precari assunti a Melfi col JobsAct, via segreto bancario non solo in Svizzera, dai che e' #lavoltabuona».
L’impatto della politica monetaria
A ben vedere si è trattato dell’effetto-Qe della Bce. Il piano di acquisto di bond governativi da parte della Banca centrale europea, infatti, schiaccia sempre di più i rendimenti degli stessi. In particolare, di quelli dei Paesi periferici di Eurolandia.
Così, ad esempio, il BTp decennale ha chiuso la seduta con un tasso intorno all’1,36%. Quello della medesima scadenza spagnola si è invece assestato a circa l’1,26%. Si tratta di valori, fino a non molto tempo fa, assolutamente impensabili. I quali, inutile negarlo, hanno poco a che fare con il rischio-Paese e la solidità socio-economica dei due Stati emittenti. La riprova? Arriva dal T-Bond statunitense. Il titolo decennale di Washington, infatti, voaggia su un rendimento intorno al 2%. Certo, come indica Mps Capital service, si tratta di un andamento dovuto «ai dati sull’inflazione che, pur scendendo sotto le attese, evidenzia una crescita sostenuta dei salari in termini reali». Il che rafforza l’idea dell’eliminazione dal proprio comunicato dell’aggettivo « “paziente” in riferimento all'atteggiamento della Fed sul timing di un rialzo dei tassi». E, tuttavia, non può nascondersi che avere il tasso sul BTp molto sotto a quello del T-Bond è una forte contraddizione. La quale può comprendersi esclusivamente con l’effetto, per l’appunto, dell’allentamento quantitativo che parte a marzo.
Il panico da acquisto
Ma non è solamente il confronto con gli Stati Uniti che mostra l’anomalia della situazione. Alberto Gallo, di Rbs, ha titolato oggi il consueto Silver Bullet in maniera assolutamente significativa: «Panic buying». Vale a dire, panico da acquisti. Quale il pensiero che ha indotto questo titolo? Semplice. L’Eurozona, a differenza degli Usa quando il Qe fu lanciato dalla Fed, non si trova in un forte deficit (il 3% contro il 10-12% di Washington). Questo implica che l’offerta di titoli di Stato è limitata. Così, la Bce si prepara a comperare bond in un mercato piuttosto statico e dove ci sarà carenza di emissioni. Quindi, le quotazioni sono destinate a salire. Di qui, l’ennesima motivazione agli acquisti di questi ultimi tempi. I quali, va ripetuto, sono conseguenza del Qe della Bce.