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Data: 15/03/2015
Testata giornalistica: Il Centro
Bersani, l'ultimatum: «Non voto l'italicum». L’ex segretario riunisce a Bologna l’area riformista: «La legge va cambiata». Poi l’affondo: «Io dal Pd non vado via. E dico: vai fuori tu, questa è casa mia»

ROMA Stanco di essere trattato come il leader di una minoranza che che ha diritto di cittadinanza ma non può imporre un bel niente, Pier Luigi Bersani riunisce a Bologna l’area riformista del Pd e lancia un ultimo avviso a Matteo Renzi, che non vorrebbe cambiare neppure una virgola dell’Italicum. «Nell’ipotesi che la legge elettorale rimanga tale e quale, io non sono in condizione di votare quella legge così come è fatta. Ma sono convinto che ci sarà disponibilità a ragionare» avverte l’ex segretario che, proprio mentre Maurizio Landini dà il via al cantiere per la “coalizione sociale”, manda in scena le prove tecniche di convivenza all’interno di un partito dove l’area riformista è in netta minoranza rispetto alle truppe renziane. E se il premier sulla legge elettorale tirasse dritto ancora una volta? «Ci fosse mai una rottura su questo punto, io non sottovaluto anche elementi di incrinatura seria, profonda» avverte Bersani. Ma il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, non sembra preoccupato: «Ci confronteremo nel merito nelle prossime settimane anche se per me il testo funziona bene. Gli ultimatum, comunque, non fanno bene al Pd». Chi voleva assistere ad una scissione, però, dovrà aspettare ancora. «Noi siamo sempre con l’idea di stare con tutti e due i piedi nel Pd. A chi ci dice “se non siete d’accordo andate fuori”, io rispondo: no, vai fuori tu, che questa è casa mia» mette in chiaro Bersani, che attacca la politica degli accordi con Fi portata avanti dal presidente del Consiglio («Del patto del Nazareno numericamente non avevamo bisogno») e non vuole nemmeno sentir parlare di un partito “nuovo” che archivia definitivamente la sinistra ed è pronto ad “ammucchiare” Prodi con Berlusconi, o Tremonti con Visco. Per l’ex segretario, insomma, è necessario distinguere tra gli schieramenti e marcare i confini: «Un’area di sinistra larga con la radice ulivista non va dispersa, perché nel campo largo tendono a prevalere posizioni riformiste». Sulla richiesta di una maggiore presenza di sinistra nella politica italiana e sulla questione delle alleanze interviene anche Roberto Speranza, che usa frasi taglienti contro il leader della Fiom, e spiega che la parola scissione non esiste nel vocabolario del Partito democratico. «Se guardiamo fuori dal Pd, queste sono le forze con cui confrontarci: l’inquietante foto con Grillo, Salvini, Berlusconi. Ma la soluzione a questo sistema politico - affonda il capogruppo del Pd alla Camera - non può essere una nuova sinistra antagonista che nasce dalle urla televisive di Landini. La soluzione è avere più sinistra nel Pd e nella nostra azione di governo». Parole che hanno l’effetto della benzina sul fuoco. E l’incendio divampa nel giro di qualche minuto. La prima stizzita replica arriva proprio dal leader della Fiom , che del Pd salva solo i pochi deputati che la scorsa settimana sono usciti dall’Aula al momento del voto sulle riforme e spalanca le porte al Sel di Vendola. «Sono abituato a discutere di merito più che di decibel. A tale proposito ricordo che questo governo, e in particolare il partito di maggioranza che è il Pd, ha cancellato i diritti dei lavoratori. E questo è peggio delle urla...» scandisce Landini. Ma a criticare le parole di Speranza è anche Gianni Cuperlo, che ieri era a Milano e non a Bologna: «Non mi sento di liquidare la posizione di Landini e di altri come urla televisive. Bisogna guardare con rispetto all’iniziativa che ha organizzato il leader della Fiom». Una ruvida risposta per Bersani, che dice di non essere disposto a cambiare casa politica, arriva invece da Nichi Vendola, che invita Speranza ad «ascoltare le urla del dolore sociale. Ho molto rispetto per Bersani, tuttavia quella casa, il Pd , è antropologicamente, geneticamente, un organismo modificato».

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