Iscriviti OnLine
 

Pescara, 14/05/2025
Visitatore n. 743.896



Data: 16/03/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Un miliardo di contributi l’anno senza l’obbligo di rendicontare. I sindacati sono equiparati ad associazioni nonostante i cospicui finanziamenti statali. Tra deroghe e rinvii, per decenni la politica ha chiuso un occhio sull’attuazione della Carta

ROMA Dopo l’addio alla concertazione il governo rilancia la sfida al sindacato con l’ipotesi di una legge sulla rappresentanza e sulla trasparenza (quest’ultima relativa anche ai partiti). Palazzo Chigi sfida così sul suo stesso terreno il leader Fiom, Maurizio Landini, che da tempo chiede questa legge. Landini, dopo aver varato la formazione “Coalizione sociale”, ieri ha ribadito di voler cambiare l’Italia. Contro la legge sulla rappresentanza sono Cisl, Uil e, fra i partiti, l’Ncd. La Cgil invece è d’accordo.
Guarda caso, i minimi requisiti formali per la redazione dei bilanci dei partiti previsti entro il 31 dicembre scorso sono stati protratti dal decreto milleproroghe. Per i partiti, l’aspetto delicato – risolto il finanziamento - è la codificazione in statuti di obblighi nei confronti dei loro iscritti: obblighi di accesso ai conti e all’elenco degli associati, obblighi di procedere a primarie con modalità fissate e secondo liste certificate, obblighi di democrazia interna da osservare negli organi statutari, nelle rappresentanze come nei procedimenti disciplinari. Ve li vedete voi gli attuali partiti assumere impegni per legge che consentirebbero a ogni iscritto e cittadino, di fronte a decisioni assunte seguendo due pesi e due misure – la norma, non l’eccezione, all’interno dei partiti – di adire il Tribunale?
Analogamente vale per il sindacato, ma con la differenza che sono in gioco la valenza erga omnes di contratti oggi assunti da libere associazioni, nonché obblighi di trasparenza finanziaria che, nel mondo sindacale, sono a oggi addirittura inferiori rispetto a quelli dei partiti.
In 70 anni, la diffidenza verso una disciplina legislativa dei sindacati si è fatta forte di due timori. Quello di violare l'autonomia organizzativa e l'iniziativa sindacale propria della specificità di ciascuno di essi. E, soprattutto, il freno è venuto dal rischio che la maggioranza politica di un colore scrivesse regole “contro” questo o quel sindacato. Dopo 20 anni di governi a colore alterno, si può sperare che i timori siano svaniti? Stante la conflittualità tra Pd oggi architrave del governo, e Cgil-Fiom, si direbbe di no. Ma sperar non nuoce.
Distinguiamo i due punti essenziali per ogni tentativo legislativo in materia sindacale. Il primo riguarda la rappresentanza perché i contratti siano “esigibili” erga omnes. Il secondo: le finanze.
Sulla rappresentanza, ci si è avvalsi nei decenni di accordi interconfederali tra sindacati e associazioni datoriali. L’ultimo è del gennaio 2014, sottoscritto anche dalla Cgil dopo che il precedente nel 2011 – a polemica Fiat esplosa – non l’aveva firmato. Il tema è aperto, anche perchè sulla questione ci sono divisione all’interno delle sigle stesse che vanno chiarite.
LE TRATTENUTE

C’è poi un capitolo altrettanto delicato: che riguarda le trattenute sindacali, l’intero comparto – oggi opacissimo – del finanziamento pubblico sindacale, e degli obblighi di rendicontazione contabile e patrimoniale. L’anno scorso sul Messaggero sottolineammo che si aggira sul miliardo di euro l’anno la cifra stimata di fonte pubblica che affluisce nei bilanci sindacali – tra convenzioni dei Caf, Patronati, quota-pensioni girata dall’Inps, e via proseguendo. I tre segretari confederali replicarono attribuendo la cifra a un intento malevolo, ma non fornirono un’analitica riaggregazione delle cifre che smentisse la nostra stima.
Senza legge, restando i sindacati libere associazioni non riconosciute, sono solo soggetti ai magri articoli del codice civile che disciplinavano nel 1942 tale forma di libera organizzazione dei corpi intermedi. I rendiconti economici annui pubblicati da Cgil, Cisl e Uil, sono meri riepiloghi di cassa, non un bilancio analiticamente completo di centro e periferia, di ogni spesa e ogni trasferimento ricevuto, dell’ammontare degli attivi mobiliari e immobiliari nonché delle passività di ogni genere. In assenza di bilanci consolidati resi pubblici, purtroppo, si possono solo stimare le entrate aggiuntive oltre ai finanziamenti diretti tramite le ritenute salariali, e cioè i finanziamenti pubblici che arrivano tramite l’attività degli enti parasindacali, come patronati, Caf ed enti bilaterali, e infine i finanziamenti percepiti tramite la retribuzione percepita dai lavoratori per lo svolgimento di attività di natura sindacale durante l’orario di lavoro. Se i trasferimenti pubblici per Caf e Patronati fossero del tutto equivalenti a ciò che i lavoratori pagano a tal fine, le loro cifre non sarebbero comprese nel rendiconto generale della spesa dello Stato, sotto la voce «contributo pubblico al finanziamento degli istituti di patronato e di assistenza sociale». Né Giuliano Amato avrebbe ricevuto dal governo Monti l’incarico di redigere un rapporto sul finanziamento diretto e indiretto dei sindacati. Né la spending review montiana avrebbe disposto la riduzione del 20% dei compensi per i Caf derivanti dalle dichiarazioni fatte per conto dell’Inps.
Non sappiamo se davvero il ministero del Lavoro eroghi ai patronati lo 0,226% dei contributi obbligatori incassati dall’Inps, dall’Inpdap e dall’Inail tenendo conto, e come, per davvero anche della loro concreta organizzazione, come prescrive la legge. L’obbligo di anonimato sulle liste dei distacchi sindacali, tagliati dal governo Renzi nella Pa, è ormai una garanzia antidiluviana. Ed è troppo, voler sapere il preciso ammontare dei patrimoni immobiliari sindacali, esente dalla tassazione che tocca tutti?
LA TRASPARENZA

Non ci aspettiamo che il governo Renzi adotti il modello di un sindacato finanziato da soli contributi liberi e volontari, senza ritenute alla fonte obbligatorie per legge e con propri fondi previdenziali integrativi, in modo che ciascuno possa essere giudicato sulla gestione più efficiente. Pensiamo tuttavia che per primi i dirigenti sindacali guadagnerebbero consensi, tra i loro iscritti e soprattutto tra i molti milioni in più di lavoratori che non lo sono, se non dicessero no a nuovi e penetranti obblighi di trasparenza, loro che sono i primi a chiederli, e giustamente, alle imprese.

www.filtabruzzo.it ~ cgil@filtabruzzo.it