ROMA Lo chiamavano semplicemente il «Sistema». Non c’erano tanti giri di parole per aggiudicarsi, a suon di tangenti, appalti statali milionari. Così, nel “Sistema” sono rientrati la linea ferroviaria alta velocità Milano-Verona; il nodo Tav di Firenze con l’attraversamento della città con un tunnel di sei chilometri; l’autostrada Orte-Mestre; il Palazzo Italia all’Expo. Cantieri che venivano affidati dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti agli “amici”. Il dominus del sistema di corruzione era il potentissimo manager statale, Ercole Incalza, capo della Struttura tecnica di Missione per le Grandi opere, arrestato ieri all’alba dai Ros su ordine della procura di Firenze. Ai domiciliari è finito il suo collaboratore Sandro Pacella, mentre è in carcere l’imprenditore Stefano Perotti, considerato fedelissimo di Incalza senza il quale nessun impresario riusciva ad aprire mezzo cantiere in Italia. Arrestato anche Francesco Cavallo, presidente del Consiglio di amministrazione di “Centostazioni” che, secondo i magistrati, riceveva proprio da Perotti ogni mese un assegno di 7 mila euro «come compenso per la sua mediazione». Cinquantuno gli indagati, tra cui diversi politici. L’europarlamentare Udc, Vito Bonsignore già condannato per tentata corruzione. Due sottosegretari: Rocco Girlanda (Pdl), alle Infrastrutture con il governo Letta nel 2013 e Stefano Saglia (Pdl) nel 2009 allo Sviluppo Economico con Scajola. Indagati anche Fedele Sanciu senatore Pdl nel 2006 e Alfredo Peri, assessore Pd alla Mobilità alla Regione Emilia Romagna nella giunta Errani fino al 2014. Ma l’inchiesta fiorentina tocca direttamente un ministro del governo Renzi, il responsabile delle Infrastrutture e dei Trasporti, Maurizio Lupi, di Ncd, che non è indagato. Nelle intercettazioni il ministro è citato diverse volte sia per aver ricevuto dalla “cricca” regali tipo un Rolex da diecimila euro per la laurea del figlio, sia per aver ottenuto da Stefano Perotti, l’imprenditore arrestato, incarichi di lavoro sempre per il suo secondogenito, Luca. Il ministro reputa la struttura su cui ha messo a capo Incalza e che gestisce con pieni poteri le opere pubbliche di rilievo, talmente inattaccabile che all’ipotesi di uno smantellamento minaccia di far cadere il governo. È il 16 dicembre 2014 quando viene intercetto al telefono con Incalza: «...ti garantisco che se viene abolita la Struttura tecnica di Missione non c’è più il governo!». È dunque Incalza a reggere i fili del “Sistema”. E con lui Stefano Perotti cui veniva affidata, attraverso la sua società Green Field srl, la direzione dei lavori degli appalti incriminati. Un giro di affari di 25 miliardi di euro. Al vertice del sistema di corruzione, per la procura di Firenze, ci sono loro due. «Nel periodo 1999-2008 – scrivono i pm – Incalza ha percepito dalla Green Field 697 mila euro costituendo per il manager “la principale fonte di reddito». Ingegnere, 71 anni, Incalza dal 2001 ha “servito” tutti i governi tranne quello di Romano Prodi nel 1996, quando il ministro di Pietro lo allontanò, da gennaio è in pensione. È stato indagato 14 volte, uscendo però sempre indenne, Il suo nome si legge nei fascicoli delle principali inchieste sulla corruzione: dall’Expo al Mose passando per la “cricca” di Anemone e Balducci, altro manager statale finito in carcere. «Incalza – si legge nell’ordinanza – è colui che suggerisce al general contractor o all’appaltatore il nome del direttore dei lavori, cioè a soggetti sempre riferibili a Perotti e che si mette a disposizione dell’impresa assicurando in violazione dei doveri di trasparenza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione un trattamento di favore». «Da lui, gli appaltatori non possono prescindere e, accompagnati da Perotti o da Cavallo, si presentano negli uffici di Incalza per assicurarsi il finanziamento». «A Perotti naturalmente andava la direzione dei lavori garantendosi un guadagno dall’1 al 3 per cento degli importi» scrive il gip che sottolinea il trucco delle “modifiche” in corso d’opera per far lievitare i costi. Di quanto? «Anche del 40 per cento».
Bufera sul ministro Lupi per l’assunzione del figlio. Lui nega: «Mai chiesto nulla». Ma il Movimento 5 Stelle invoca le sue dimissioni. Nelle carte presunti favori e regali. Il gip di Firenze: rapporti stretti con arrestati
di Maria Rosa Tomasello wROMA Per il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Maurizio Lupi è il giorno peggiore del suo mandato. Lo stretto rapporto con Ercole Incalza e la vicinanza agli imprenditori Stefano Perotti e Francesco Cavallo – tutti arrestati – l’assunzione del figlio Luca, 29 anni, grazie a Perotti e lo «scenario illecito» in cui, secondo il gip di Firenze, questa potrebbe essere maturata gettano ombre che provocano l’immediata richiesta di dimissioni da parte del Movimento 5 Stelle. «Mai chiesto a Perrotti né a chicchessia di far lavorare mio figlio. Non è nel mio costume e lo riterrei profondamente svagliato» chiarisce il ministro in una nota precisando che il figlio lavora dai primi di marzo a New York e dichiarando la sua «massima disponibilità verso la magistratura». «Siamo a inizio inchiesta ed è prematuro trarre elementi di colpevolezza per il ministro e il governo» commenta in serata il sottosegretario Graziano Delrio. A raccontare in tre diverse occasioni l’assunzione del figlio del ministro, ingegnere laureato al Politecnico di Milano, grazie a Perotti nell’ambito del progetto per la costruzione del centro Eni di San Donato Milanese è Giulio Burchi, ex presidente di Italferr spa: «Ho visto Perotti l’altro giorno – dice il 21 ottobre scorso al dirigente Anas Massimo Averardi – tu sai che Perotti e il ministro sono... non intimi, di più, perché lui ha assunto anche il figlio... per star sicuro che non gli mancasse qualche incarico di direzione lavori, siccome ne ha soli 17, glieli hanno contati, ha assunto anche il figlio di Lupi, no?». Dai contatti tra Perotti e i suoi più stretti collaboratori, si desume che «nell’ambito della commessa Eni egli stipulerà un contratto con Giorgio Mor» (cognato di Perotti) per coordinare il lavoro e Mor, a sua volta «nominerà come “persona fissa in cantiere” Luca Lupi, corrispondendogli la somma di 2.000 euro più Iva al mese». Tuttavia Mor è dubbioso e chiede se sia possibile fare l’assunzione «in maniera meno formale». Perrotti dice no: «A lui gli dobbiamo dare la sicurezza». Per il gip, questa preoccupazione «non è comprensibile al di fuori di uno scenario illecito. Nulla infatti può impedire a costoro di assumere la persona che vogliono, anche il figlio di un amico. Ben diversa, invece, è la situazione qualora tale assunzione possa essere immaginata quale il corrispettivo di qualche utilità fornita da Maurizio Lupi per il tramite di Incalza». I rapporti tra Lupi e Perotti, sono definiti «amicali», «intensi e frequenti». Il ministro a Firenze è spesso ospite dell’imprenditore, come il 14 settembre del 2013, per esempio, quando va a cena accompagnato dalla scorta. Il 14 febbraio Perotti esprime alla moglie la sua preoccupazione nel caso Lupi non fosse confermato: «No, il rischio è questo Emiliano (l’ex sindaco di Bari, ndr), che sarebbe un magistrato, che è terribile» dice. «Stretto» anche il legame con Cavallo, presidente di Centostazioni, l’uomo che, secondo il gip, intrattiene i rapporti con il ministero delle Infrastrutture per conto di Perotti e che avrebbe «in più di un’occasione effettuato favori al ministro e ai suoi familiari». Cavallo, inoltre, avrebbe fatto confezionare alcuni abiti di sartoria per Lupi e per il figlio, mentre a Luca Lupi per la sua laurea sarebbe arrivato in regalo da parte di Perrotti un Rolex da 10.350 euro. È «strettissimo» invece secondo il gip il legame di Lupi con Incalza, che ieri mattina il ministro ha definito «una delle figure più autorevoli del nostro Paese»: sarebbe stato Incalza tra l’altro a «sponsorizzare» e ottenere la nomina del vice ministro Riccardo Nencini (che ha parlato di «millantato credito») mentre, secondo quanto emerge dall’intercettazione di un dialogo tra il figlio Antonio Incalza e Sandro Pacella, la difesa di Ercole Incalza fatta in aula alla Camera da Lupi in sede di interrogazione parlamentare sarebbe stata scritta dal difensore di fiducia di Incalza, avvocato Titta Madia.