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Pescara, 10/09/2025
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31/03/2015
Il Messaggero
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Tutti assolti, sipario sul caso D’Alfonso «Prove insufficienti o contraddittorie», la formula usata dai giudici salva anche il lavoro della procura pescarese. La Corte d’Appello cancella tutte le accuse a carico del governatore e degli altri coinvolti nel processo Housework. D'Alfonso: «Anni durissimi, ma da me mai una parola fuori posto» |
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L’AQUILA Tutti assolti. Anche i giudici di secondo grado della Corte d’appello dell’Aquila arrivano alla medesima decisione che fu dei colleghi del tribunale di Pescara riguardo al processo a carico dell’allora sindaco (oggi governatore d’Abruzzo), Luciano D’Alfonso e di altri 17 imputati (in totale gli originari imputati assolti in primo grado erano 24 ma per sei di loro non c’è stato appello). Assolto anche il dirigente comunale Guido Dezio, l’unico per il quale il procuratore generale Ettore Picardi aveva chiesto la condanna a due anni e mezzo per tentata concussione, per una vicenda peraltro estranea all’impianto accusatorio, legato alle presunte tangenti nei grandi appalti al Comune di Pescara. I giudici aquilani hanno riqualificato il reato di Dezio (per la questione legata alla gestione del bar del tribunale) in tentativo di induzione alla corruzione e lo hanno assolto per mancanza di prove. È il sipario definitivo sul caso Housework, visto che l’eventualità di un ricorso in Cassazione è a questo punto mera teoria e che sul giudizio di secondo grado si formerà con tutta probabilità il giudicato. IL DISPOSITIVO Leggendo il dispositivo di sentenza (i motivi si conosceranno entro il 30 maggio prossimo) si comprende anche lo sforzo fatto dai giudici aquilani per salvare, in un certo senso, il lavoro del Pm pescarese Gennaro Varone che insieme alla squadra mobile e alla polizia postale condusse l’inchiesta facendo arrestare all’epoca il sindaco in carica D’Alfonso. «In parziale riforma della sentenza dell’11 febbraio 2013 del tribunale di Pescara.... applica per tutte le imputazioni per le quali è stata pronunciata assoluzione in primo grado il disposto di cui all’articolo 530 secondo comma». Questo vuol dire che per i giudici di appello «è insufficiente o manca del tutto o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste», così come testualmente recita il comma del codice di procedura penale che ha riformato la vecchia, pilatesca formula dell’insufficienza di prove. Una sottigliezza giuridica che sembra più un modo per addolcire la pillola a chi sostenne la tesi accusatoria, peraltro neppure condivisa in requisitoria dallo stesso procuratore generale, che secondo le regole del processo avrebbe dovuto sostenere il ricorso di Varone. Una sentenza che comunque non cambia minimamente la sostanza della decisione.
SETTE ANNI DI INDAGINI L’assoluzione di ieri riguarda, oltre all’ex sindaco e Guido Dezio, anche Carlo e Alfonso Toto, Massimo ed Angelo De Cesaris, Pierpaolo Pescara, Fabrizio Paolini, Rosario Cardinale, Giacomo Costantini, Nicola Di Mascio, Pietro Colanzi, Alberto La Rocca, Giampiero Leombroni, Marco Mariani, Francesco Ferragina, Antonio Dandolo e Vincenzo Cirone. Il bubbone dell’inchiesta scoppiò il 15 dicembre del 2008 con gli arresti di D’Alfonso, Dezio e Massimo De Cesaris. Un fulmine a ciel sereno anche perché, venuto a conoscenza dell’inchiesta che lo riguardava, D’Alfonso si era già presentato in procura per farsi interrogare e dichiarando che comunque si sarebbe dimesso qualche giorno dopo per meglio difendersi. Una sorta di tacito accordo per evitare misure più gravi che invece vennero ugualmente adottate. Ma la cosa più grave, e che già allora avrebbe dovuto far riflettere gli inquirenti, è che dopo il lungo interrogatorio di garanzia cui venne sottoposto D’Alfonso, il gip che firmò le ordinanze di custodia cautelare Luca De Ninis, fece un clamoroso passo indietro non convalidando gli arresti e affermando, nero su bianco e contrariamente a quanto sostenuto nell’ordinanza di custodia cautelare, che a carico dell’ex braccio destro del sindaco, ma singolarmente non a carico di D’Alfonso, si poteva configurare semmai un illecito finanziamento del partito, ma mai reati di corruzione o concussione. Ma questo non fu sufficiente. Si arrivò al rinvio a giudizio, al processo e ora alla doppia assoluzione. Ma nel frattempo i danni erano stati fatti. Danni alla città che dovette andare di nuovo alle urne con l’ovvia vittoria del centrodestra; danni alle persone che videro la loro vita lavorativa, affettiva distrutta da una serie di accuse gravissime che due gradi di giudizio hanno confermato non esistere.
«Anni durissimi, ma da me mai una parola fuori posto»
L’AQUILA «Ringrazio la magistratura per aver sottoposto a scrupolosa validazione e approvato il mio operato da sindaco di Pescara. Resta il rammarico per l’interruzione di un percorso amministrativo riconosciuto a tutti i livelli e che stava dando frutti preziosi per la città». Questa il commento a caldo del Governatore D’Alfonso, che questa volta non ha atteso il verdetto dei giudici raccolto in preghiera, ma al lavoro, a Napoli, per un convegno sul trasporto pubblico locale.«Come sempre, e come ho sempre dimostrato, credo nel meccanismo di accertamento della verità del nostro sistema giudiziario. Rivendico - aggiunge D'Alfonso - di non aver mai usato un aggettivo fuori posto e di essermi difeso sempre nel processo e non fuori del processo. Sono stati anni durissimi e in questo mio ricordo parto da nove anni fa, dal 13 maggio del 2006 quando apparve la prima locandina sulle mie indagini. Ricordo che era il giorno della prima comunione di mio figlio Luca Maria e anche che di quel giorno non ho neppure una fotografia. Sono stati anni duri. Ogni volta che contattavo i cittadini e che lavoravo per la mia città ero felice, ma anche anni di preoccupazioni, di grande dolore. Oggi viene a concludersi questo cammino giudiziario con un riconoscimento per il mio modo di lavorare per la città, validato dalla giustizia penale, amministrativa e civile». Come accaduto il giorno della mancata convalida dell’arresto e soprattutto dopo la sentenza di primo grado, non c’è ombra di risentimento nelle parole del governatore. Da avvocato ed ex assessore alla legalità nella seconda giunta D’Alfonso, prima che da successore a palazzo di città, Marco Alessandrini applaude alla sentenza che, dice «conferma quanto già chiaramente emerso in sede di giudizio di primo grado, con indicazione della piena legittimità dell'operato di Luciano D’Alfonso sindaco. Riparte dunque, più che mai, l'esperienza politica del centrosinistra. È un’intera compagine politica che ritrova, dopo anni di difficoltà, piena libertà di azione. «Ora - aggiunge Alessandrini -, fugato ogni dubbio sulla legittimità del suo operato, potrà riprendere un cammino che era stato proficuo, concentrarsi ancor di più sulle molteplici questioni che riguardano il territorio e la vita delle persone». Conferma Stefania Pezzopane, senatrice del Pd: «Era un esito che ci aspettavamo, conferma che la scelta di andare alle elezioni con D'Alfonso era giusta. Confidavamo in questo epilogo sia leggendo le carte, sia avendo fiducia nel nostro governatore».
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