Il trasporto pubblico romano «è sotto tenuto sotto scacco dalle corporazioni», ma l’Atac «vuole parlare con tutti, a partire dai macchinisti, per spiegare sviluppi e prospettive». Disagi come quelli degli ultimi giorni, però, non potranno più essere tollerati, «diversamente dovremmo parlare di interruzione di pubblico servizio». Francesco Micheli da quasi due mesi è direttore generale dell’azienda di via Prenestina, selezionato tra 149 candidati.
Si trova davanti una situazione con diversi punti critici da affrontare. Da dove comincia?
«La priorità mi sembra evidente, viste anche le cronache di questi giorni. Diciamo che ci stiamo concentrando sul funzionamento della macchina, quindi sull’amento della produttività».
Intanto state rivedendo il salario accessorio dei dipendenti. E sembra che macchinisti e autisti non l’abbiano presa bene.
«Le posizioni chiave dell’azienda vanno ricondotte a standard operativi più competitivi. Se i nostri macchinisti lavorano 736 ore l’anno, contro le mille dei colleghi napoletani e le 1.200 dei milanesi, qualcosa dovrà cambiare».
Quindi partirete da chi guida materialmente i mezzi pubblici?
«A mia parere non è giusto concentrare la nostra attenzione solo su queste figure. Diciamo che i problemi da affrontare sono l’orario di lavoro, il controllo dello stesso e una remunerazione che va sempre più collegata alle prestazioni rese. E questo riguarda l’intera azienda».
Stop ai bonus a pioggia, quindi, seguendo l’esempio del Campidoglio?
«Le voci accessorie dello stipendio, accumulate nel corso degli ultimi decenni, vanno ricondotte nell’ambito di soluzioni in cui chi lavorerà di più e meglio guadagnerà anche più di adesso».
La prima risposta dei diretti interessati, però, è stato il blocco delle linee A e B della metro.
«Al momento non parlerei ancora di blocco, comunque stiamo monitorando attentamente la situazione. Il problema probabilmente è storico e riguarda le vecchie corporazioni che, come accade anche nelle ferrovie, sono controllate da sigle minori che sanno benissimo come bastino pochi macchinisti per bloccare una linea su ferro».
E voi come rispondete?
«Parleremo con i macchinisti, in queste settimane, per spiegare sviluppi e prospettive di quest’azienda e del nostro lavoro. Stiamo facendo una scommessa, ma se non ci sarà ragionevolezza le normative prevedono provvedimenti adeguati, che io peraltro al momento escluderei. Il dubbio che ho è che non ci siamo capiti: noi cercheremo di colmare questa distanza. Poi, per chi non volesse capire il messaggio, bisogna ricordare che certi comportamenti potrebbero configurare un’interruzione di pubblico servizio».
Altro problema dell’Atac, soprattutto dopo Parentopoli, è l’eccesso di dipendenti impiegati negli uffici. Come pensate di risolverlo?
«Abbiamo avviato un passaggio graduale di amministrativi verso i servizi di validazione e controllo dei biglietti. Abbiamo quadri, dirigenti e amministrativi che hanno avuto l’autorizzazione governativa per essere ammessi all’attività di controlleria, che altrimenti non sarebbe consentita. I validatori sono saliti da 140 a oltre 500, ma i numeri sono destinati a crescere ancora».
L’evasione tariffaria, però, è ancora molto alta.
«Il problema dell’evasione è enorme sui mezzi di superficie, dove qualche passo avanti lo si sta facendo, ma in maniera ancora insufficiente. La vera questione è che chi non paga il biglietto, non ci permette di fare ricavi e quindi investimenti. E poi si lamenta per il servizio non adeguato alle aspettative. Basti pensare che, se tutti pagassero il biglietto, questa azienda non avrebbe più problemi di liquidità».
L’Atac può andare verso un processo di privatizzazione?
«Per privatizzare un’azienda bisogna metterla prima in sicurezza e in efficienza, altrimenti non si troverà nessuno disposto a investire».