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Data: 20/09/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Per le lavoratrici arriva il maxi scalone: da gennaio quasi 2 anni in più per uscire

ROMA Lo scalone da una parte, la chiusura del capitolo “opzione donna” dall’altra: se gli aspiranti pensionati italiani hanno una buona ragione per sognare un meccanismo che consenta loro più flessibilità in uscita, l’universo femminile, stretto da una doppia tenaglia, ne ha addirittura due. Circa 200 mila lavoratrici si preparano infatti a fare i conti con i pesanti effetti della riforma Fornero, che introduce una nuova stretta sui requisiti per andare a riposo, senza neppure poter più contare sull’ancora di salvataggio introdotta alcuni anni fa che consente di lasciare il lavoro e di andare in pensione, anche a costo di rinunciare ad una parte cospicua del trattamento maturato. «Spero che riusciremo a trovare un primo rimedio già con la Stabilità» ha annunciato il premier Matteo Renzi gonfiando le speranze di chi, dal prossimo anno, rischia di rimanere incagliato a causa di un doppio cambio delle normative.
Il problema numero uno, per le donne, è legato alla riforma delle pensioni messa a punto dal governo Monti nel 2011 che punta ad adeguare i requisiti della pensione alla speranza di vita: una logica che dal 2016 porterà l’età pensionabile e l’età contributiva per le donne ad aumentare. Così, fra poco più di tre mesi, le lavoratrici del settore pubblico che oggi vanno in pensione a 66 anni e 3 mesi (o con 41 anni e mezzo di contributi indipendentemente dall’età), dovranno restare al loro posto 4 mesi in più. Ma una vera e propria mazzata si abbatterà sulle lavoratrici del privato che passeranno dagli attuali 63 anni e 9 mesi a 65 anni e 7 mesi. In pratica quasi due anni in più rispetto ad oggi. Una progressione che, nella logica dell’equiparazione pubblico-privato, riprenderà nel 2018 quando tutte le donne andranno a riposo a 66 anni e 7 mesi. E poi addirittura a 66 anni e 11 mesi a partire dal 2019.
LE CONSEGUENZE
Gli effetti dello scalone colpiranno anche le lavoratrici autonome (oggi in pensione a 64 anni e 9 mesi) che dal 1 gennaio potranno lasciare l’attività solo allo scoccare dei 66 anni e un mese. Il problema numero due, ovviamente collegato agli effetti della legge Fornero, è che le decine di migliaia di donne che, nuove regole alla mano non potranno andare in pensione, dal prossimo anno non potranno aggrapparsi alla cosiddetta “opzione donna” introdotta dalla riforma Maroni del 2004 e poi sostanzialmente confermata dal decreto “salva Italia” del 2011. La norma prevede che le donne che desiderano andare a riposo con le vecchie regole (57 anni e 3 mesi di età con 35 anni di contributi o 58 anni e 3 mesi con gli stessi contributi nel caso delle lavoratrici autonome) possono continuare a farlo accettando un trattamento calcolato interamente con il sistema contributivo, sicuramente meno vantaggioso del sistema retributivo, con una perdita in termini di peso dell’assegno del 25%. Ad ogni modo il taglio è molto variabile e dipende dell’età della lavoratrice e dalle caratteristiche di carriera, retribuzione ed anzianità contributiva maturata alla data di accesso al regime.
LE INTERPRETAZIONI
Per questa tipologia di prestazione, alla quale hanno aderito circa 30 mila lavoratrici da quando è stata introdotta, resta in vigore la cosiddetta finestra mobile secondo la quale l’assegno viene erogato dopo 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome. Opzione donna, dunque, costituisce una buona soluzione. Ma senza una iniziativa in grado di cambiare l’attuale situazione, da parte del governo, nel corso delle prossime settimane i giochi si chiuderanno.
Tra l’altro l’Inps, fino ad ora, ha interpretato restrittivamente la legge, riconoscendo il diritto alla pensione anticipata alle donne che maturano la decorrenza entro fine dicembre 2015, ma non a coloro che entro la stessa data ne maturano il diritto. Tuttavia da qualche mese, su richiesta dei sindacati, l’istituto di previdenza accetta, pur senza dare l’ok, le domande anche di queste lavoratrici. E questo in attesa del pronunciamento, atteso per inizio ottobre, da parte del Tar del Lazio che potrebbe ampliare la platea delle beneficiarie.

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