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Pescara, 04/05/2025
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15/11/2015
Il Centro
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Le testimonianze degli abruzzesi. «Una cena tra amici poi è stato l’inferno». Città paralizzata, impossibile prendere taxi o metro. Il giorno dopo, piazze e mercati vuoti, ma la vita riprende |
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PESCARA Sono atterrato a Parigi proprio venerdì 13 novembre. Una visita lampo, giusto il tempo di beccarmi un attentato dell'Isis a un km e mezzo dal mio albergo, per intervenire alla mostra-evento “Pour ne pas oublier Joseph Beuys”, orchestrata dalla baronessa Lucrezia De Domizio Durini alla Maison de l'Italie, all'interno della Cité Universitaire, nella zona sud della città. Stavamo tranquillamente cenando in un ristorante, dove la baronessa aveva invitato tutti gli intervenuti, quando l'umore lentamente è cambiato dalla sala alla cucina. Avevo di fronte un ospite romano, contattato ripetutamente al telefono da un suo amico, un collega di Repubblica, dal quale abbiamo appreso i fatti tragici dello Stadio, dei ristoranti, del Bataclan. Da quel momento le informazioni e le voci delle vittime sono andate sempre più crescendo, come la nostra apprensione. Nel giro di poco la sala si è svuotata, le persone ormai allarmate hanno ripreso la via di casa o dell'albergo cercando di accaparrarsi i taxi che passavano ed erano già impossibili da guadagnare, come gli altri mezzi. Alcune performer alloggiate in una delle zone critiche degli attentati, hanno tentato di raggiungere gli hotel, ma hanno dovuto ripiegare su un alloggio di fortuna alla Maison de l'Italie. Il mio, invece, era in Rue de Turbigo, a 1 km e mezzo dal teatro del Bataclan di Boulevard Voltaire, dove si era consumata o si stava consumando la tragedia più eclatante: riuscivamo ad avere le notizie beccando qualche Ansa al volo con la connessione ballerina del cellulare. Ma è bastato metter piede in strada per annusare che la situazione era davvero critica. Gli autobus passavano a tutta velocità “fuori servizio”, le stazioni della Rer e della Metro erano completamente serrate, i taxi avevano impostato l'insegna rossa e non si fermavano, sfrecciava la polizia, passava l'esercito. Era iniziato il fuggi fuggi generale, il panico aveva preso in tanti, e non era difficile, bastava far mente locale sulle distanze di Parigi e sul fatto che da qualche parte in città, come rimbalzava dalle notizie, andava in scena una sorta di guerriglia tra sparatorie ed esplosioni. Una scena preoccupante con le strade svuotate di gente e piene di mezzi della forza pubblica a sirene spiegate. La cosa migliore da fare era rifugiarsi nel primo bar ancora aperto, dove ho aspettato che qualcosa si calmasse e ho provato a capire qualcosa in più, ma ne sapevano meno di me. Il pubblico ballava allegramente jazz e anche al bancone sembravano non essersi accorti di nulla. Solo allora, parlando col titolare, è stata staccata la musica e accesa la televisione. E tutti quanti si sono resi conto di cosa stesse accadendo a pochi km da lì, nella loro città. Mentre fuori passavano gruppi di giovani tifosi con i colori nazionali dipinti sul viso e le bandiere francesi in mano, tornavano da un altro luogo di strage, lo Stade de France. Cantavano La Marsigliese come a farsi forza e a dimostrare una reazione. Gli abbiamo chiesto dove andassero, andavano tutti al Bataclan, che era diventato nel frattempo il cuore e il simbolo del pluriattentato al cuore della Francia. Con me era un'amica londinese, decisamente più “smart” di un italiano, che è riuscita a trovare un taxi privato con una app dal suo iPhone. Abbiamo tentato di avvicinarci così al suo albergo, ma ci muovevamo nella zona rossa tra il X e l'XI arrondissement, che abbiamo raggiunto a piedi. E da lì in poi ho avuto serissime difficoltà a rientrare al mio di albergo. Parigi a tratti era diventata una città fantasma e per raggiungere Rue de Turbigo ho dovuto camminare parecchio, senza passanti e senza mappa, i tassisti erano terrorizzati, quelli che sono riuscito a fermare mettendomi in mezzo alla strada, una volta sentita la mia destinazione si rifiutavano di accompagnarmi. Ho convinto un tassista ma a corsa da poco iniziata è arrivato lo stop della Police: davanti a noi avevano appena messo a terra un uomo per arrestarlo, un attentatore, ho pensato, gli erano addosso in parecchi. Sono rientrato in albergo che non mancava troppo al mattino. Quando Parigi si è svegliata bene, meglio di me certo. Un passeggio tutto sommato regolare, attività commerciali aperte, mezzi pubblici in funzione. Certo, meno traffico e meno gente. Autobus e metro quasi vuoti, come piazze, parchi e centri commerciali, luoghi di folla appositamente evitati. Ma i parigini hanno voglia di reagire, mi ha spiegato il tassista mentre mi accompagnava a Porte Maillot, destinazione aeroporto di Beauvais per me con atterraggio a Ciampino. I francesi sono un gran popolo. E stanno reagendo al meglio.
Due semplici parole: “Allons enfants” e poi la specifica, sempre in francese, “Pour le Théatre Bataclan et Paris”. È il manifesto che il consiglio d’amministrazione del teatro Marrucino ha voluto far affiggere per rendere onore alle vittime dei fatti di Parigi, in particolare quelle del teatro Bataclan, e manifestare tutta la propria vicinanza alla Francia ferita dal terrorismo. «Un gesto che manifesta solidarietà e vicinanza», l’ha definito infatti il presidente del consiglio d’amministrazione, Cristiano Sicari, «che vuole essere un segno anche per vincere la paura di tutti noi, non solo di chi ha subito l’attacco. Vincere la paura non vuol dire non averla, vuol dire, al contrario, provarla e superarla, con l’aiuto e il sostegno di tutti». L’importante istituzione culturale cittadina ha scelto, dunque, di non restare in silenzio di fronte all’attacco che ha sconvolto Parigi.
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