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Pescara, 04/05/2025
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16/11/2015
Il Messaggero
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L'attacco all'Europa - Valeria uccisa a teatro «Era il nostro futuro». Tragica conferma dopo ore di speranza: l’italiana è tra i giovani morti al Bataclan. Le piaceva viaggiare, studiare, divertirsi ma non si considerava un cervello in fuga. «Mia figlia, una meraviglia Mancherà a tutta l’Italia» |
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PARIGI In una delle sue foto più belle, porta il filo di perle. Mostra l'eleganza semplice di una ragazza sorridente, che guardava al mondo in trasformazione con la fiducia di chi crede nella irrefrenabile forza del miglioramento della storia. Ma purtroppo si sbagliava Valeria Solesin. Non era riuscita a concepire in tutta la sua terribilità l'esistenza della barbarie che le ha spezzato la vita. Spegnendo la luce del suo sguardo e mostrandole, prima di annientare la sua giovane esistenza, tutto il male che producono i deliri del fanatismo. Di quel gruppo di amici che l'altra sera era andato a sentire al Bataclan gli Eagles of Death Metal, gli uccellacci della morte si sono portati via soltanto lei. Veneziana di Canareggio, cioè del cuore di Venezia, era diventata cittadina del mondo. «Rappresentava il futuro dell'Europa», ha detto il presidente Mattarella ed é una frase profonda, perfetta. E malgrado gli attentati, la generazione Valeria continuerà a studiare, a viaggiare, uscire, divertirsi, conoscere nuove culture, non fermarsi e ragionare globalmente. Era giovane, bella, democratica, curiosa e appassionata. Quando le dicevano «sei un cervello in fuga», perché ormai si era stabilita a Parigi, lei rispondeva autoironica: «Né cervello né fuga». «Vorrei che la ricordaste tutti come una cittadina meravigliosa», ha detto la madre. In questa frase c'è il concetto di cittadinanza occidentale che è proprio ciò che la jihad vuole eliminare. E c'è il rivendicare, fortissimo in Valeria, il proprio ruolo di donna libera di decidere il proprio destino, indipendente e pienamente titolare dei propri diritti. In un ottica non più nazionale ma comunitaria in senso largo. I MAZZI DI FIORI ALL’OBITORIO
Adesso quel che resta di una vita giace nella sala di medicina legale di place Mazas, dove vengono portati tutti i cadaveri delle 129 vittime di Parigi per il riconoscimento. I mazzi di fiori sono tanti e quelli per Valeria arrivano anche da persone che non la conoscevano. L'ambasciatore d'Italia a Parigi, Giandomenico Magliano, insieme al console generale Andrea Cavallari, si è recato in questo luogo del dolore e del pianto, nel quale sfilano padri che cercano di riconoscere le salme dei figli e madri che singhiozzano e non si danno pace, per vedere se Valeria è Valeria e purtroppo quel corpo martoriato è proprio il suo. «Valeria è morta», è l' annuncio che piove in questa Parigi grigia più che mai. A darlo è Corrado Ravagnani, il padre di Andrea, il fidanzato trentino della ragazza ventottenne che si trovava con lei al momento del blitz al Bataclan. Valeria non potrà più rivedere Venezia. Era cresciuta tra i suoi canali. Aveva frequentato il liceo scientifico Benedetti. Non potrà più credere nel futuro che aveva cominciato a costruirsi. Scrivendo i primi saggi e occupandosi dei temi sociali a lei più cari. I clochard ma soprattutto le donne. Il mondo femminile, per cui lei lottava attraverso i suoi studi, era l'opposto di quello concepito dai suoi assassini e purtroppo messo in pratica nei Paesi islamizzati. Hanno ucciso in Valeria l'autodeterminazione delle donne, che è uno dei principi più odiati dal fanatismo bombarolo. Viveva da sei anni nella capitale francese, era dottoranda borsista in Demografia alla Sorbona dopo essersi laureata a Trento. E in quella città aveva scoperto l'amore per Andrea. Era impegnata nella solidarietà. Faceva volontariato in Emergency. Rappresentava l'opposto, cioè il sorriso, rispetto al ghigno stragista che vuole sottrarre il mondo a chi come Valeria meritava di occuparsene. Con l'impegno di una ragazza normale. Che amava amare. Gino Strada, fondatore di Emergency, la ricorda con un grazie, anzi due: «Grazie, Valeria, grazie. Abbiamo avuto la fortuna di conoscerla in tutto il suo impegno». Il premier Renzi ha promesso di dedicare alla sua memoria una borsa di studio. Nella notte maledetta con lei c’era il fidanzato Andrea Ravagnani, 30 anni, di Dro, vicino a Trento, rimasto leggermente ferito ad un orecchio. Ma dice di non sentire nessun dolore in quella parte del corpo, perché il dolore gli sta facendo scoppiare il cuore e gli distrugge l'anima. Con loro c’era anche Chiara, 25 anni, sorella di Andrea, e il suo ragazzo Stefano Peretti di Verona: tutti e due rimasti illesi. Quando i terroristi hanno iniziato a sparare, Andrea e Valeria non hanno avuto subito coscienza che si trattava di un attentato. «I primi colpi sembravano effetti speciali», racconta lui. Poi, la mattanza. Valeria, Andrea, Chiara e Stefano vengono presi in ostaggio dagli attentatori. Le raffiche che colpiscono tutti non colpiscono loro. Perché riescono a nascondersi nella bolgia. Dopo il blitz delle teste di cuoio, quando è iniziato il fuggi fuggi generale, il gruppo si divide e ognuno cerca di salvarsi come può. Anche Valeria, forse. L'unica della quale, però, non si è più avuto notizia. LA BORSA INSAGUINATA
E nella notte e nel giorno dopo, il suo telefonino viene bersagliato di chiamate degli amici in preda all'ansia. Rispondi, Vale, ti prego rispondi. Ma lei non può sentirli. Poi un'amica trova tra i corpi morti, i vestiti insanguinati, le scarpe volate via nella bolgia della fuga dalle raffiche, la borsa di Valeria. Con i suoi documenti. Ma soltanto quella. Vale, dove sei? La famiglia, da subito, ha detto che Valeria non era tra le vittime. C'era una speranza quindi, un filo a cui aggrapparsi. «Mia figlia può, deve, essere ancora viva», si illude la madre. Poteva essere tra i feriti, quelli gravi, quelli senza conoscenza. Bisognava aspettare. E la speranza che la famiglia non voleva perdere é diventata via via sempre più debole: di Valeria nessuna traccia. Poi la notizia che Andrea aveva riconosciuto quel che é restato di un corpo. E faceva impressione, dopo che si é capito l'esito della vicenda, la generosità accorata e drammatica di quell'appello degli amici che aveva preso a circolare su Twitter e Facebook insieme alla foto della ragazza: «Valeria Solesin, borsista a Parigi. 28 anni, veneziana. Era al concerto. Non abbiamo notizie. Fate girare». Valanga di risposte. Poi le lacrime. I suoi assassini hanno vinto. Adesso lei torna in Italia dentro una bara. E all'Europa - ma ne sarà capace? - toccherà di dimostrarsi all'altezza di ciò che ha rappresentato Valeria, senza farsi ulteriormente annichilire.
«Mia figlia, una meraviglia Mancherà a tutta l’Italia»
VENEZIA Hanno sperato fino all'ultimo che non fosse vero. Che Valeria ce l'avesse fatta, che fosse solo ferita e dispersa in qualche ospedale parigino. Ma la telefonata del fidanzato Andrea in lacrime, giunta sabato sera poco prima di mezzanotte a Venezia nella casa di San Marcuola, a Cannaregio, dove Valeria Solesin abitava con i genitori e il fratello, ha stroncato ogni illusione. Alberto Solesin e Luciana Milani, i genitori della 28enne unica vittima italiana della strage di Parigi, vivono il loro dolore rinchiusi in casa a due passi dalla chiesa dei Santi Ermagora e Fortunato. Con loro c'è anche Dario, che non è volato a Parigi come qualcuno diceva. Verso le 15.00, dopo che la Farnesina ha ufficializzato che Valeria è tra le vittime, papà e mamma decidono di scendere e di dire qualcosa ai giornalisti. Lo fanno a pochi metri dalla chiesa dove Valeria ha fatto la prima comunione ed è stata cresimata. ALLEGRA E IMPEGNATA
«Nostra figlia era una persona buona, una cittadina, una studiosa meravigliosa - dice mamma Luciana, insegnante - Ci mancherà molto e, visto il percorso che stava facendo, credo che mancherà anche al nostro Paese per le doti che aveva. Era una ragazza sempre allegra, piena di vita e di voglia di fare. Avete letto la sua biografia, i suoi lavori: mia figlia non si dimenticava degli ultimi con il volontariato per Emergency qui a Venezia, a Trento dove ha studiato all'università. E poi anche a Parigi dove aveva lavorato seguendo i senzatetto che vivono nelle metropolitane della città. Ecco, questo dice tutto, dimostra la sua voglia di conoscere in tutte le sfaccettature le realtà che andava a studiare e frequentare». LA TELEFONATA
Papà Alberto è visibilmente commosso. È lui ad aver ricevuto la telefonata, la più tragica, del fidanzato della figlia Andrea, che gli annunciava che il corpo di Valeria si trovava nell'obitorio della Place Mazas. Abbigliamento, descrizione, verifiche a livello scientifico eseguite dall'Interpol non lasciavano speranza: «Adesso aspettiamo di sapere cosa dobbiamo fare per andare a riprendercela e portarla a casa. È il desiderio più grande che ho in questo momento in cui tutto mi pare così assurdo, irreale. Mia figlia era una ragazza stupenda. Pensi sempre che queste cose capitino agli altri e non a te. E invece stavolta siamo noi a piangere. Con Valeria ci sentivamo poco, ma quando lo facevamo era per parlare a lungo di tante cose. Quest'anno avrebbe dovuto concludere il suo dottorato ma non era allarmata per i fatti di gennaio e andare ad un concerto per lei era un fatto normale, come fanno i ragazzi della sua età». Alberto e Luciana non sanno bene cosa sia successo quella maledetta sera del 13 novembre al Bataclan di Parigi. «Sinceramente ci interessa poco - aggiunge la madre - sapere perché è successo tutto questo. Ora vogliamo solo riportarla a casa e piangerla assieme ai nostri parenti e ai suoi amici». Nel pomeriggio arriva anche la telefonata del Premier Renzi. Da parte del Presidente del Consiglio le condoglianze e una promessa di ricordare Valeria in qualche modo, una borsa di studio. Oggi, probabilmente, la partenza della famiglia per Parigi per riportare a casa la salma di Valeria e darle l'ultimo saluto nella sua Venezia
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