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Pescara, 17/06/2025
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Data: 20/12/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Imu, le strutture religiose continuano ad evadere. Nonostante gli appelli di Papa Francesco l’incremento di chi paga si è fermato al 10%.Resta la tentazione di aggirare le normative il 50% degli istituti non è in regola con le rate.

ROMA La moral suasion di Francesco ha scosso molto poco il Vaticano, spingendo ben poche organizzazioni religiose a pagare le tasse. Il termine per il versamento della seconda rata dell’accoppiata Imu-Tasi è scaduto il 16 dicembre scorso e i primi conti, molto provvisori, attestano che la propensione a versare le imposte sugli immobili sarebbe cresciuta solo del 10%. Il che vuol dire, considerato che l’evasione fiscale potenziale su questo fronte viene stimata intorno a 500 milioni di euro, che a regime lo Stato italiano potrebbe recuperare appena 50 milioni l’anno. Una cifra bassissima che non appare affatto l’auspicata inversione di tendenza nella storia del difficile rapporto Chiesa-tasse.
SENZA EFFETTO
Insomma, l’intervento del Papa ha avuto scarso effetto. Il 10 Settembre scorso Bergoglio, in una intervista alla radio portoghese Renascenca, tuonò in termini privi di possibili fraintendimenti contro chi, all’interno dell’organizzazione vaticana, cerca di fare il furbo. «Un collegio religioso, essendo religioso, è esente dalle tasse - le parole del Papa - ma se lavora come albergo è giusto che paghi le imposte».
Un ammonimento seguito da ragionamenti ancora più espliciti. «Ci sono conventi - disse Francesco - che sono quasi vuoti e anche lì può esserci la tentazione del dio denaro. Alcune congregazioni dicono: ora che il convento è vuoto faremo un hotel o un albergo, possiamo ricevere gente e con ciò ci manteniamo e guadagniamo. Bene, se desideri questo paga le imposte. In caso contrario, il business non è pulito».
Un affondo durissimo che, a quanto pare, non ha modificato molto la situazione. A Roma, ad esempio, le organizzazioni religiose sono titolari di circa 300 strutture ricettive, vale a dire il 25% rispetto ai 1.200 hotel, alberghi, ostelli e bed and breakfast privati capaci di offrire ospitalità a 14 mila persone per notte nella Capitale.
IL RAPPORTO
Ebbene, secondo un rapporto del Campidoglio appena il 40% delle strutture legate alla Chiesa ha versato la prima rata Imu-Tasi a giugno mentre adesso la quota di chi è in regola sarebbe salita al 50%. Il che potrebbe far recuperare al Comune solo 2 milioni di euro di tasse.
Problema risolto? Niente affatto, dunque anche se qualcosa, lentamente, si sta muovendo. Il guaio è che la normativa non aiuta chi, come i Comuni, deve riscuotere. Per cercare di dirimere i contenziosi fiscali Stato-Chiesa, nel giugno 2014 il governo emanò un decreto che stabilì il principio secondo il quale non si pagano le tasse per i locali in cui si svolge attività ricettiva «con modalità non commerciale». Più nel dettaglio, secondo quel provvedimento non sono tenute a pagare le scuole private che chiedono alle famiglie rette inferiori ai 6.882 euro annui (pari al costo medio per ogni alunno di scuola statale calcolato dall’Ocse), le cliniche convenzionate e tutti gli enti non commerciali posseduti dalla Chiesa, dalle parrocchie alle università ai musei.
LE DIFFICOLTÀ
Una formulazione troppo vaga e, nella pratica, facilmente aggirabile. Tra l’altro, secondo quanto indicato dalle norme tributarie, spetta alla struttura ricettiva legata alla Chiesa l’onere dell’autodenuncia nella dichiarazione dei redditi e successivamente all’Agenzia delle entrate, semmai, dimostrare che in quell’esercizio si svolge un’attività commerciale, non considerata tale se i prezzi non sono superiori a metà di quelli del quartiere.
Insomma evadere Tasi e Imu per il Vaticano, in mancanza di leggi più severe, resta una tentazione terrena ancora troppo ghiotta. «La particolare tipologia degli Enti religiosi - scriveva alcuni mesi fa il Comune di Roma in un rapporto -, la classificazione catastale degli immobili (che rimane spesso ambigua e non aggiornata rispetto al loro utilizzo effettivo), la loro tendenza a percorrere quasi sempre la strada del contenzioso e una normativa che solamente in tempi recenti ha cercato di chiarire e limitare le caratteristiche di esentabilità del loro patrimonio immobiliare, hanno reso incerto il possibile incasso».

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