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Pescara, 04/07/2025
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Data: 02/07/2016
Testata giornalistica: Corriere della Sera
I veleni romani dei Cinque Stelle. La battaglia per i posti di potere. Tra i dirigenti del Movimento c’è chi vuole mettere sotto controllo la sindaca e il suo «raggio magico». E nelle scelte chiave non manca il familismo

«Tutto bene», giura una nota ufficiale, «basta gossip, stiamo lavorando per voi». Eppure volano i coltelli in una guerra tra quelli che, se si parlasse di Pd, verrebbero definitivi «capibastone» e «correnti». Invece siamo tra i 5 Stelle. Epicentro del terremoto, Roma. Qui Virginia Raggi, trionfatrice alle urne, stenta a far nascere la giunta, anche a causa di risentimenti e invidie. Tra i dirigenti nazionali c’è chi vuole mettere sotto tutela la neosindaca e il suo «raggio magico». Ad aumentare entropia e tensione, le accuse di dossieraggi, il malumore crescente dei senatori e lo sconcerto di molti per la deriva familistica del Movimento, dove amori, amicizie e poltrone sono sempre più intrecciati in un circolo non proprio virtuoso.
I fronti son ben definiti. Da una parte c’è Virginia Raggi, sostenuta da Alessandro Di Battista. Dall’altra, le deputate romane mandate ad aiutare (e controllare) il sindaco, Paola Taverna e Roberta Lombardi, che appoggiavano lo sfidante della Raggi, Marcello De Vito. Punto di riferimento nazionale nel direttivo, Luigi Di Maio. La Raggi ha potuto fare poco in questi primi giorni, ma quel poco ha subito innervosito: le nomine di Daniele Frongia a capo di gabinetto «dimezzato» (causa legge Severino) e del vice Raffaele Marra. Siccome la purezza in politica è arte astratta, sono venuti fuori (grazie a una «manina» interna, dicono i rumors) precedenti imbarazzanti per l’ortodossia a 5 Stelle: Marra ha collaborato con Gianni Alemanno e Renata Polverini; Frongia, rivela Andrea Augello, fu collaboratore della giunta Storace. Di Maio minimizza: «Chi ha dimostrato competenze dia una mano». Poi definisce «fumettesche», con ardito neologismo, le indiscrezioni della stampa.

Ma che ci sia una guerra di potere è palese. La Raggi vuole mani libere. Per questo vorrebbe nominare portavoce il fedelissimo Augusto Rubei. Non è dello stesso parere la Comunicazione a 5 Stelle, che vorrebbe un suo uomo all’Avana. La Lombardi, intanto, infiamma le chat interne, mettendo in dubbio la qualità delle scelte e chiedendo assessori fedeli. A dispetto dei tanto sbandierati metodi meritocratici, i 5 Stelle sin dalla nascita sono endogamici. Un gruppo apparentemente aperto, nel quale dilaga il familismo. Nel pacchetto che doveva portare De Vito a diventare vice (diventerà, forse, capogruppo), è prevista la nomina della moglie Giovanna Tadonio a mini assessore al terzo municipio. Nello staff romano potrebbe entrare Francesco Silvestri, ex collaboratore del senatore Giovanni Endrizzi ed ex fidanzato di Ilaria Loquenzi, capo comunicazione alla Camera. La Loquenzi fu portata dalla Lombardi. I casi di coppie sono molti: Di Maio-Virgulti, Nesci-Nuti, Giordano-Mantero, Taverna-Vignaroli. Così come i casi di parenti e amici assunti come collaboratori. Barbara Lezzi aveva assunto la figlia del suo compagno, Libera. Wilma Moronese ha preso come collaboratore il compagno. Il senatore Andra Cioffi ha assunto Alessandra Manzin, fidanzata di Paolo Adamo, dei social network del Senato. Una Parentopoli? La senatrice Paola Nugnes, un giorno disse: «Quando scegliamo il nostro esercito, i soldati devono essere fedeli».
I risultati non sono sempre all’altezza delle aspettative. Molte fedeltà sono crollate e gli ex sono avvelenati. L’ex capo della Comunicazione Claudio Messora ha rilanciato un articolo che immagina un inedito asse di Di Maio con i poteri forti, Mario Monti e la Trilateral (è seguita denuncia M5S). Serenella Fucksia spiega: «Con Gianroberto Casaleggio c’era un’umanità che non c’è più. Ora c’è una deriva di ragazzetti senza un minimo di etica e di idealità, gente arida. Dovevano combattere la casta, la stanno solo sostituendo». Vero o falso, il clima peggiora e i senatori friggono. Persino ortodossi come Vito Crimi e Nicola Morra sono irritati. La mozione dei senatori che chiede l’uscita dalla Nato è stata ampiamente rimaneggiata dai deputati, provocando gravi malumori. Intanto, la giunta è ferma. Qualcuno già teme un «effetto Pizzarotti», con una presa di distanza del Movimento dalla Raggi (e viceversa), sul modello di quello che è accaduto a Parma. Scenario decisamente infausto, ma soprattutto prematuro. Per ora siamo alle schermaglie. E alle mani avanti del deputato Danilo Toninelli: «Sicuramente commetteremo errori, ma saranno in buona fede».

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