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Data: 09/08/2019
Testata giornalistica: Il Messaggero
Di Maio: «Pugnalato alle spalle il Paese» Secondo mandato, è lite. Zingaretti: c'è solo il voto, appello a Renzi E l'accelerazione frena il partito di centro

ROMA «È finita». Quando Matteo Salvini esce dalla stanza del premier Conte, Luigi Di Maio, anche lui a Palazzo Chigi, capisce che la situazione è precipitata.
E che non sarà più rimediabile. «Non ci saranno maggioranze alternative», dice uno tra i suoi più fidati consiglieri. Niente accordo con il Pd. Nemmeno per la finanziaria.
Allo stesso tempo Di Maio è consapevole che la sua esperienza parlamentare rischia di essere arrivata al capolinea: «Luigi non chiederà una deroga al secondo mandato», spiega ancora un sottosegretario a lui molto vicino. «Ma il tema non è all'ordine del giorno», tagliano corto dal suo staff. Non glielo permetterebbero Grillo e Casaleggio, e soprattutto Alessandro Di Battista. Anche se la situazione è molto complicata e in queste ore ci sono le forti spinte dei senatori grillini affinché la regola sacra venga rivista e messa al voto su Rousseau. «Un anno di governo è troppo poco: non possiamo perdere un patrimonio di competenze», è il ragionamento che circola tra i big della Camera.
Il Movimento, dicono gli uomini di «Luigi», è compatto. E trapela anche un incontro avuto da Di Maio con Di Battista intorno all'ora di pranzo. Il front man grillino intanto scalda già i motori: la deroga al secondo mandato dipenderà da Dibba. Se dirà di sì salverà tutti i colonnelli, altrimenti partirà la «rifondazione» del Movimento. Nel dubbio proprio Di Battista da ieri è ufficialmente già in campagna elettorale con questo slogan: «Salvini è uno schiavo del sistema».
LE ANIME
Per il Movimento Cinque stelle è una giornata da incubo. Dall'ultimo dei peones ai big arrivati al secondo mandato è tutta una catena di telefonate. E di sfoghi. Di Maio schiuma rabbia nei confronti del leader della Lega: «Ha pugnalato il Paese alle spalle, ora aumenterà l'Iva: ha preso in giro gli italiani su tutto. A partire dalla flat tax. Salvini ha pensato solo ai suoi interessi e non a quelli del Paese».
Il Capo dei Cinque stelle collega la crisi al no della Lega di votare la riforma costituzionale che prevede il taglio dei parlamentari. «Salvini me l'ha chiesta come condizione per non staccare la spina: voleva che bloccassimo la riforma perché Forza Italia e Fratelli d'Italia erano contrari e anche lui aveva problemi al suo interno».
Fin qui la parte governista del Movimento, quella che si prepara comunque a una «vigorosa campagna elettorale». Poi però ci sono le critiche al leader che piovono da più parti. In molti mettono in evidenza la sua chiusura «nel bunker» in queste ore. E in generale, anche tra chi gli è stato al fianco fino all'ultimo, tutti si sottolinea in evidenza un aspetto: «Luigi ha sbagliato linea politica, dopo le Europee doveva mandare un messaggio al Paese e togliere subito Toninelli. Invece non ha avuto coraggio e siamo arrivati a questo punto». L'ala dissidente, le varie anime ortodosse sono pronte a mettere in discussione il ruolo di capo politico di Di Maio: «Ha fallito su tutta la linea, dovrà lasciare», ragionano in molti.
A Palazzo Chigi, nella stanza del vicepremier si ragiona su come uscire dall'angolo. La mossa della «disperazione», l'ultima riguarda il voto sul taglio dei parlamentari. Si cercano sponde con Roberto Fico per mettere in calendario l'ultimo voto della riforma. Ma anche questa è una pistola scarica. Rimane solo l'ira di Di Maio contro Salvini: «Così perdiamo anche il commissario alla Concorrenza in Europa».

Zingaretti: c'è solo il voto, appello a Renzi E l'accelerazione frena il partito di centro

ROMA Una grande coalizione, la più larga possibile. Che faccia alleanze con liste civiche e partiti di centro, anche con quelli che potrebbero nascere. Nicola Zingaretti guarda solo al voto. E così, con l'accelerazione della crisi, soprattutto se si dovesse andare a votare entro fine ottobre, al Nazareno sono già pronti ad aprire il dossier della campagna elettorale. Per ritornare al governo. Un copione ancora da scrivere.
IL PROTAGONISTA
A partire da chi sarà il frontman'. «Se si corre verso le urne non può che essere Gentiloni», spiega un big del partito. «Sceglieremo insieme l'uomo o la donna in grado di sconfiggere Salvini», promette Zingaretti. Sala, il sindaco di Milano, viene ritenuto una risorsa difficile da spendere entro così breve tempo. E in ogni caso i dem non sono disponibili a farsi carico di una manovra che si annuncia lacrime e sangue, con la necessità di sterilizzare le clausole di salvaguardia. «L'aumento dell'Iva se lo intestino loro. Il danno lo hanno fatto M5S e Lega. Dovranno assumersi ogni responsabilità», il refrain.
Dunque no ad un eventuale governo di transizione, anche senza la presenza di Salvini. Una tesi che viene sposata pure dai renziani che però puntano il dito sugli esponenti vicini a Franceschini. Si valuterà ogni mossa da compiere qualora arrivasse una chiamata dal presidente della Repubblica, Mattarella per sostenere un esecutivo di transizione per portare il Paese alle urne. Ma al momento l'ipotesi non è sul tavolo. E comunque il Pd si presenterebbe troppo diviso per poter far parte di maggioranza alternativa a quella giallo-verde. Tra i dem si ipotizza che alla fine della giostra ovvero dopo la sfiducia al governo Conte al Senato possa nascere un esecutivo di minoranza. Ieri Renzi si è detto «pronto al voto ma prima occorre mettere in sicurezza i conti italiani». Un passaggio che non convince Zingaretti che prevede subito le urne.
L'accelerazione della crisi dovrebbe essere il fattore frenante anche per l'eventuale uscita di Renzi dal partito. «Presto esco dal Pd», aveva confidato l'ex presidente del Consiglio due giorni fa ad alcuni senatori. E parlando «da mero osservatore» con i cronisti, alla buvette e nel Transatlantico di palazzo Madama, si era detto convinto della nascita di un contenitore di centro. Ma nel caso si arrivasse al voto in autunno non ci sarebbero i tempi tecnici per una nuova formazione. Anche se un esponente vicino all'ex presidente del Consiglio sottolinea che la convivenza si fa difficile ogni giorno di più. «Sono i vari Gentiloni, Zanda e Franceschini che vogliono buttarci fuori dal partito», l'accusa. Per i renziani si apre già il problema delle liste. Ad oggi i gruppi parlamentari rispondono in buona parte al senatore di Scandicci. Chiaro che ai nastri di partenza Zingaretti schiererà un'altra classe dirigente. «Renzi già prevede un esponente vicino all'ex premier dovrà difendere il suo seggio». Ed è evidente che le tensioni interne dopo lo scontro sulla necessità di abbandonare l'Aula sulla mozione pentastellata al Senato sulla Tav sono destinate ad acuirsi. Ma Zingaretti tira dritto. E pur sostenendo che Renzi ha tutto il diritto di fare politica, fa capire di non essere interessato ad eventuali mosse extra-Pd: «Serve unità». L'unico traguardo è il voto. Anche se in molti temono le urne e che Salvini possa governare in solitaria.
«Nelle prossime elezioni ha sottolineato ieri Zingaretti - non si deciderà solo quale governo ma anche il destino della nostra democrazia, della collocazione internazionale del nostro Paese». Quella del governatore della Regione Lazio è un appello alla mobilitazione fin da ora: «Dico a Matteo: aiuta, dai una mano. È legittimo che fai politica, sei una risorsa e aiutaci a vincere le elezioni al prossimo appuntamento elettorale, perché abbiamo il dovere di non permettere mai più che quelli che hanno vinto il 4 marzo tornino al governo, abbiamo il dovere di lasciare ai nostri figli e nipoti un paese migliore».

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