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Data: 10/08/2019
Testata giornalistica: Il Messaggero
Tra 631 matricole alla prima legislatura e non ricandidabili, il partito anti urne. Da Fico alla Taverna, i big a rischio: ritorno alla vita reale per uno su 4

ROMA La crisi politica, come ogni crisi politica, si sta sviluppando su molte frequenze: c'è il confronto fra le linee politiche dei partiti, poi le divisioni interne ai vari schieramenti, e infine le visioni e gli interessi personali dei vari leader. Ma poi la crisi sta facendo emergere un lato molto particolare della politica: l'istinto di sopravvivenza. Da che mondo è mondo chi è eletto parlamentare non lascia volentieri lo scranno di Palazzo Madama o di Montecitorio che obiettivamente ti fa sentire un po' nel centro dell'ombelico del mondo; è pagato benissimo (almeno rispetto ai compensi per le attività impiegatizie svolte dai nostri onorevoli nella loro vita civile) e nonostante le ripetute sforbiciate offre ancora non pochi privilegi.
Questa volta, poi, l'istinto di sopravvivenza è ancora più forte che in passato. Le ragioni sono due. La prima: la festa è iniziata da poco. La legislatura è partita da appena 500 giorni e se dovesse chiudersi sarebbe di gran lunga la più corta della storia della Repubblica. La seconda: ben 422 deputati e 209 senatori, ovvero il 66% circa dei 945 parlamentari sono alla loro prima investitura.
SOGNO FINITO?
Sono in tutto 631, tantissimi, in questi giorni gli onorevoli che si vedono sfuggire di mano il sogno e la responsabilità di rappresentare gli italiani dopo appena 500 giorni da eletto. Il problema riguarda soprattutto i 5Stelle che - a meno di colpi di scena - stando ai sondaggi ben difficilmente alla prossima tornata elettorale ripeterebbero l'exploit dello scorso anno quando raccolsero il 32% dei voti e il 37% dei parlamentari. Per loro poi c'è la tagliola dello Statuto che vieta di ripresentarsi dopo il secondo mandato e che - se non ci saranno deroghe - dovrebbe impedire anche al leader politico Luigi Di Maio di partecipare alla prossima competizione elettorale
Per partiti come la Lega e il Movimento 5Stelle, che hanno vinto le politiche del 2018, la percentuale di neoeletti è iperbolica. L'86% dei parlamentari del Carroccio e il 73% dei grillini non era né deputato né senatore nella legislatura 2013/2018.
I parlamentari della Lega erano appena 33 fino al marzo 2018, di cui 24 confermati, e ora nelle due Camere sono più di 170. Discorso analogo per il Movimento 5Stelle che con questa legislatura ha triplicato i propri rappresentanti, passando da 123 parlamentari a oltre 330.
Tutt'altra musica sul fronte del Pd. Passato da quasi 400 parlamentari a meno della metà, ha subito l'effetto opposto: un crollo dei numeri e un basso tasso di ricambio parlamentare.
Il caso del Pd ci riporta però al piano degli equilibri politici. In quel partito il grosso dei gruppi parlamentari è composto da parlamentari renziani che difficilmente verranno ricandidati e dunque non sono certo entusiasti di andare al voto. Scarsissima voglia di stappare champagne anche fra i forzisti (circa 170 fra deputati e senatori) il cui elettorato si è in parte spostato sulla Lega. Ma, chissà, forse le voci sulla formazione di un partito trasversale del non-voto sono solo malignità messe in giro dai leghisti.

Da Fico alla Taverna, i big a rischio: ritorno alla vita reale per uno su 4

ROMA Il grande ricambio. Nella storia del Movimento, se davvero questa legislatura finirà, l'estate del 2019 potrebbe rappresentare uno spartiacque. Sia chiaro: l'ipotesi della deroga è solida e se andasse in porto causerebbe una tromba d'aria di sospiri di sollievo. Ma con le regole attuali molti della prima ora sono destinati ad atterrare nella loro vita di tutti i giorni. Al di là della poca fantasiosa ironia che impera in rete sul ritorno allo stadio San Paolo di Luigi Di Maio, se la regola non verrà cambiata, il politburo dei 5 Stelle è destinato a sbriciolarsi. Alcuni numeri: secondo una stima almeno il 25 per cento dei parlamentari del Movimento non potrà essere rieletto. Per Di Maio, in queste ore finito sul banco degli imputati per la gestione politica del patrimonio di voti del 2018, c'è un problema inedito: non può tornare in Parlamento, ma deve continuare a svolgere il ruolo di capo politico (anche se poi bisognerà capire chi gli pagherà lo stipendio). Con questo scenario appare geniale la scelta di Alessandro Di Battista di saltare un giro. Ma nell'elenco di chi deve uscire di scena ci sono altri nomi storici del movimento. Roberto Fico, presidente della Camera, ad esempio. Alcuni ministri come Alfonso Bonafede che un giorno prepara la riforma della giustizia, il giorno dopo, in linea teorica, programma il ritorno allo studio di avvocato civilista. Giulia Grillo, ministro della Salute, è un medico legale catanese, attivista della prima ora, non ha mai nascosto di condividere la regola del limite del doppio mandato e sarebbe pronta a lasciare senza drammi. Danilo Toninelli, dopo i riflettori a volte accecanti da ministro dei Trasporti, è un altro senza futuro politico e potrebbe pensare di riprendere la sua professione nel mondo delle assicurazioni. Comunque la si giri, per molti, anche per coloro che hanno lavorato in buona fede e con impegno, sarebbe come uscire da un reality show e tornare alla normalità. Chi sembra prenderla con filosofia è il romano Stefano Vignaroli, presidente della Commissione ecomafie, avvicinatosi alla politica con le battaglie contro la discarica di Malagrotta, che ieri stava consumando gli ultimi scampoli di una breve vacanza a Ibiza (domani sarà già a Roma e lunedì parteciperà alla riunione congiunta dei parlamentari grillini): «Umanamente non c'è nulla di male nel dispiacersi di perdere l'esperienza acquisita, lasciando il lavoro non portato a termine. Poi mi dispiace anche lasciare il Paese in mano a Salvini, se questo gli italiani vorranno. Però io ho accettato le regole del M5S e sono pronto a fare ciò che facevo prima».
TUTTI A CASA
Se cambia la regola, certo, bisognerà spiegare perché sia stato cacciato chi l'aveva contestata, come Fabio Fucci, ex sindaco di Pomezia ed ex astro nascente del Movimento. La lista di chi, se non passa la deroga, esce dal reality show mette insieme anche altri nomi roboanti. Esempi: il ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro, la vicepresidente del Senato Paola Taverna, la vicepresidente della Camera Maria Elena Spadoni, Gianluca Perilli, Stefano Patuanelli (capogruppo in Senato), Francesco D'Uva (capogruppo alla Camera), il sottosegretario Stefano Buffagni. Come cantavano una volta i grillini? Tutti a casa alè?

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