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Data: 19/04/2019
Testata giornalistica: Il Messaggero
Siri indagato, tolte le deleghe M5S: «Lasci». Ma lui resiste. Conte: atto grave, chiarisca. Incentivi all’eolico, i pm: al sottosegretario ai Trasporti una tangente da 30mila euro. Il ministro gli revoca i poteri, la replica: «Follia, non mi dimetto». Lite 5Stelle–Lega. «Favori a imprese vicine alla mafia». Gli emendamenti nel mirino dei pm

ROMA Questa volta l'accusa è corruzione. Armando Siri, sottosegretario leghista ai Trasporti e consigliere economico del leader del Carroccio Matteo Salvini, è accusato dai magistrati palermitani di aver ricevuto denaro per inserire nella manovra un emendamento ad hoc sulle energie rinnovabili. Siri respinge «categoricamente» ogni accusa. Matteo Salvini lo difende a spada tratta.
Ma il vicepremier pentastellato Luigi Di Maio invoca subito le dimissioni, Danilo Toninelli ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ritira le deleghe al sottosegretario, il premier Giuseppe Conte gli chiede un «chiarimento». Tra i ministri di Lega e M5S riuniti ieri per il Consiglio dei ministri a Reggio Calabria l'aria si è fatta subito tesissima. Ancor più di quanto non lo fosse ormai da settimane.
E il clima peggiora quando dalla procura di Roma trapela notizia di una denuncia a carico del sindaco M5s Virginia Raggi per presunte pressioni sull'ex ad di Ama. «Ci aspettiamo le sue immediate dimissioni», contrattacca la Lega. E Salvini rilancia sul piano politico: «È inadeguata, lasci». Insomma fra 5Stelle e Lega siamo ormai ai calci negli stinchi.
IL PRIMO
Siri è comunque il primo indagato del governo gialloverde. Come ricordano i 5Stelle, c'è anche l'imputazione per turbativa d'asta a carico del leghista Massimo Garavaglia, per un episodio risalente a quando era assessore lombardo. Ma questa volta l'accusa è corruzione e entra in gioco il governo. La notizia diventa subito materia di scontro tra M5s e Lega, alle prese con una campagna elettorale permanente. La corsa leghista verso il voto, temono i salviniani, rischia di essere frenata. Il governo traballa.
L'inchiesta su Siri, nata a Palermo ma ora gestita dalla procura di Roma, ruota intorno all'accusa di una dazione di denaro per far passare una norma (mai però approvata) sulle energie rinnovabili, tramite l'ex deputato di Fi Paolo Arata, a sua volta accusato di avere rapporti con l'imprenditore dell'eolico Vito Nicastri, tra i finanziatori della latitanza del boss mafioso Matteo Messina Denaro. L'accusa dei pm romani è aver «asservito» con «le sue funzioni e i suoi poteri ad interessi privati».
Ma Siri, che in serata era in Senato per il voto sul Def, racconta di aver appreso dalla stampa la notizia e di aver «letto di nomi» che non conosce: «Sono tranquillissimo. È una vicenda assurda. Non mi dimetto. Chiederò di essere immediatamente ascoltato e denunzierò chi mi abbia rivolto queste ignobili accuse», dichiara.
Passa però solo un'ora dalla notizia d'indagine, quando Di Maio chiede il passo indietro del sottosegretario: «C'è una questione morale», dichiara il vicepremier. E da qui in poi M5s e Lega iniziano a darsele di santa ragione. «Piena fiducia in Siri, le indagini siano veloci», auspica la Lega, che sottolinea di essere compatta nella difesa. «Lo conosco e lo stimo», dice Salvini, che ricorda di non aver «mai chiesto» il passo indietro dei pentastellati indagati. Il loro - dicono i leghisti - è «giustizialismo» a intermittenza. Ma i 5Stelle invitano il senatore leghista a difendersi nel processo, fuori dal governo.
Toninelli gli ritira le deleghe ma formalmente il passo spetta al premier. «Chiederò a lui chiarimenti e all'esito di questo confronto valuteremo», annuncia Conte, che però fa capire che le dimissioni sono un'ipotesi reale quando ricorda il contratto di governo: «Non possono svolgere incarichi sottosegretari sotto processo per reati gravi come la corruzione», afferma.
In questo clima di logoramento dell'alleanza di governo, esplode il caso Raggi. L'Espresso rivela una denuncia a carico del sindaco da parte dell'ex ad di Ama, l'azienda di raccolta dei rifiuti, Lorenzo Bagnacani. «Devi modificare il bilancio come chiede il socio, anche se ti dicono che la Luna è piatta», avrebbe intimato al manager la sindaca, che non è indagata. «Molto rumore per nulla, non ho fatto nessuna pressione», dice lei. Ma dalla Lega parte subito il fuoco di fila: «Se le intercettazioni sono vere, ci aspettiamo subito le sue dimissioni, in base alle regole M5s», dicono i ministri Erika Stefani e Gian Marco Centinaio. «Una goffa ripicca», replicano i 5Stelle. Ma Salvini incalza anche sul piano politico: chiede di stralciare la norma Salva Roma dal decreto crescita e chiede a Raggi di lasciare perché «inadeguata». Domani nuova puntata della telenovela giallo-verde.

«Favori a imprese vicine alla mafia». Gli emendamenti nel mirino dei pm

ROMA «Sta storia mi è già costata 30mila euro», così Francesco Paolo Arata, ex deputato di Forza Italia, uno dei sette professori ai quali Matteo Salvini si è rivolto per stilare il programma di governo della Lega, parlava con il figlio la scorsa estate. Il riferimento, per i pm, è ai soldi che avrebbe dovuto pagare ad Armando Siri, il sottosegretario che presentava emendamenti per fargli ottenere incentivi. Qualche tempo dopo, l'imprenditore si sarebbe preoccupato di giustificare quell'uscita in bilancio. Ma c'è di più nell'inchiesta che vede indagato Siri per corruzione: Arata, uomo vicino ai potenti e ai sovranisti, per i pm di Palermo è un prestanome di Vito Nicastri, «imprenditore pregiudicato e spregiudicato» arrestato ieri e sotto processo con l'ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa per avere finanziato la latitanza di Matteo Messina Denaro. Ed è per le società collegate a Nicastri che Siri si sarebbe speso «con un'incessante attività» in cambio della promessa, o della dazione della mazzetta da parte di Arata, «suo sponsor per la nomina a sottosegretario». In tutti i modi avrebbe cercato di garantire incentivi di Stato alla aziende riconducibili al presunto boss, intervenendo anche sugli altri ministeri.
I PEDINAMENTI
A metterlo nei guai, le intercettazioni e pedinamenti degli uomini della Dia. Agli atti ci sono anche gli emendamenti che il sottosegretario alle Infrastrutture, da ieri senza deleghe, avrebbe tentato invano di far passare, «vendendo così la sua funzione» a vantaggio di quello che la procura di Palermo definisce «un reticolo di società tutte operanti nel mercato delle energie rinnovabili facenti capo solo formalmente alla famiglia Arata ma di fatto partecipate occultamente da Nicastri, vero regista delle strategie imprenditoriali e considerato da Arata la persona più brava dell'eolico in Italia».
Da senatore e sottosegretario «avrebbe asservito la sua funzione a interessi privati». Se i soldi siano arrivati nelle tasche di Siri non è chiaro, per l'ipotesi di corruzione, conta poco. Basta la promessa. Così, il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il pm Mario Palazzi, che ieri hanno disposto le perquisizioni nelle quattro società di Arata e nella sua casa di Genova, fanno riferimento a «uno stabile accordo tra il corruttore Paolo Arata, imprenditore nel settore eolico con significativi investimenti in Sicilia e con trascorsa attività politica e molteplici relazioni ancora in atto con i massimi livelli istituzionali, e il sottosegretario Siri, di cui Arata è stato anche sponsor per la nomina, proprio in ragione delle relazioni intrattenute». Arata, spiegano i pm, «attraverso la sua azione diretta nella qualità di alto rappresentante del governo e ascoltato membro della maggioranza parlamentare», avrebbe proposto e concordato con i ruoli apicali dei ministeri delle Infrastrutture e dello Sviluppo economico» l'inserimento di provvedimenti di competenza governativa che contenevano norme ad hoc «per favorire gli interessi economici di Arata ampliando a suo favore gli incentivi per l'energia elettrica da fonte rinnovabile».
Un emendamento alla legge di Bilancio, mandato dalla segreteria di Siri al senatore leghista Massimiliano Romeo, il capogruppo che avrebbe dovuto sottoscriverlo nel corso dell'iter a Palazzo Madama del ddl Bilancio e un'altra bozza trasmessa al capo di Gabinetto del ministero per le Attività produttive. Entrambi proponevano di modificare i criteri di incentivi alle imprese dell'energia alternativa retrodatandoli.
GLI EMENDAMENTI
Il primo prevedeva che gli incentivi fossero riservati alle aziende che sono entrate in esercizio «al 30 settembre 2017 e documentino di aver inviato la comunicazione di fine lavori al competente gestore di rete entro il 30 giugno 2017». Era tra quelli prioritari targati Lega ma poi è stato stralciato in fase di scrematura. Per conoscenza, Romeo aveva mandato al ministro per i Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro, il quale lo aveva bocciato sostenendo che la proposta avvantaggiasse i privati, facendo aumentare le bollette. Il secondo, dello scorso luglio, estendeva gli incentivi anche agli «impianti entrati in esercizio entro i dodici mesi dal decreto ministeriale del 23 giugno 2016». Un testo bocciato dal ministero di Di Maio dopo una breve istruttoria.

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