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Data: 26/07/2019
Testata giornalistica: Il Messaggero
Patto Salvini-Di Maio «Il governo va avanti» Mattarella: collaborate. Ma resta la tensione con Conte Il braccio di ferro sui ministri

ROMA Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ieri è tornato a sottolineare il ruolo centrale dell'Unione Europea, fuori dalla quale «non c'è futuro per l'Italia». Ma il cuore del suo messaggio è stato l'avvertimento alla maggioranza giallo-verde: «Le istituzioni di governo - ha detto Mattarella alla cerimonia del Ventaglio - hanno bisogno di un clima di fattiva collaborazione, lungi dalla conflittualità, per poter assumere decisioni tempestive per la vita del Paese». La parola collaborazione all'evidenza non è stata scelta a caso. E poi mattarella ha precisato: «Il capo dello Stato è arbitro e non compie scelte politiche ma richiama al rispetto del senso delle istituzioni».
Forse mai un monito è stato lanciato dal Quirinale con altrettanto tempismo. A Palazzo Chigi, infatti, sembra essere calato un grande gelo fra. Matteo Salvini e Luigi Di Maio che pure si sono visti per un facci a faccia per la prima volta da settimane, senza avvertire il premier Giuseppe Conte.
I due hanno riannodato i fili di un dialogo ma non hanno accorciano le distanze: sulla manovra tra M5s e Lega sono sempre al muro contro muro. Ma è con il premier che la tensione è forte. È
Mentre i due vicepremier sono riuniti nella sede della presidenza, il presidente del Consiglio esce a piedi per andare a pranzo in un ristorante di sushi con il suo staff.
PREMIER INDIGNATO
«Dobbiamo lavorare, non chiacchierare», dice lapidario. E respinge sdegnato i sospetti nati nello stesso governo: «È pura fantasia che io voglia una nuova maggioranza o farmi un partito».
Le incognite che gravano sul governo sono ancora molte. Tanto che un dirigente pentastellato ammette: «Al di là dei singoli temi non so se sia recuperabile il rapporto con la Lega». Conte avrebbe chiarito con Di Maio sull'uscita dall'Aula dei senatori M5S mercoledì, mentre lui parlava. Ma tra i Cinque Stelle le fibrillazioni non si arrestano dopo il via libera alla Tav: il timore è che il gruppo possa non reggere nel voto al Senato sul decreto sicurezza bis. Già alla Camera in 17 non hanno votano ieri e Roberto Fico è uscito dall'Aula.
La temperatura è rovente però soprattutto tra Conte e il vicepremier leghista. Conte viene descritto parecchio irritato per essere stato accusato di un tentativo di ribaltone e lo dice: in caso di governo «andrei in Parlamento per trasparenza e non per una nuova maggioranza», bisogna «volare alto» e non ragionare «con i peggiori schemi della prima Repubblica».
Ma Salvini scrolla le spalle. E contrattacca. «Mi interessano meno di zero» le parole di Conte su Savoini, dichiara nelle ore in cui il Pd formalizza la mozione di sfiducia nei suoi confronti. E sul sì alla Tav pungola Conte: «Avrà studiato e capito quel che noi sapevamo». E insiste con la flat tax.
Nel pomeriggio il premier riunisce a Palazzo Chigi, con Di Maio e Giovanni Tria, le parti sociali in vista della manovra. I lavori «ufficiali» iniziano in questo momento, dice ai sindacati, derubricando il vertice al Viminale. «Il vero vertice è questo», gongola il M5S. Che depotenzia la flat tax con la proposta di un taglio al cuneo fiscale da 4 miliardi e sbandiera il principio di «progressività» come irrinunciabile. Rilanciano anche il salario minimo. «Quattro miliardi sono pochi, serve coraggio», ribatte la Lega, mentre Salvini chiede di sfidare l'Ue e dice di non avere ancora «capito» qual è l'idea di manovra.
È quello il prossimo fronte, mentre tanti altri restano ancora aperti. Sull'autonomia la prossima settimana si affronterà la questione fiscale ma intanto, dopo un incontro di Conte con Stefani e Bonisoli, non si sciolgono neanche i nodi sui beni archeologici. La Lega è in pressing anche sulla Gronda di Genova, le infrastrutture e la riforma della Giustizia. E sarebbe ancora lontana la soluzione del rebus commissario Ue. Restano sullo sfondo le polemiche sui ministri: nel faccia a faccia con Di Maio, Salvini lamenta scelte e dichiarazioni del ministro ai Trasporti Danilo Toninelli. Ma il capo M5s ribatte che anche su scuola, agricoltura e turismo (titolari i leghisti Bussetti e Centinaio) il governo non brilla.


Ma resta la tensione con Conte Il braccio di ferro sui ministri

ROMA Mozzarella contro sushi. Forchetta contro bacchette. I due vice si incontrano a palazzo Chigi - dopo due settimane di più o meno veri insulti sui social - e il presidente del Consiglio, per mostrare plasticamente la distanza, si rifugia in un ristorante giapponese. Ma se Conte mangia orientale, Salvini sfodera pasta filata campana con la quale avvolge l'alleato che da qualche giorno invocava l'incontro.
LA MOSSA
Un'ora scarsa di vertice «tutto politico», sostengono a palazzo Chigi per giustificare l'assenza del premier, durante il quale i due azionisti di maggioranza hanno messo in fila problemi e scadenze. Tra i primi, ovvero tra i problemi, Salvini ha messo al primo posto la permanenza di Toninelli al dicastero di Porta Pia. «Questo ministro è un disastro», ha più volte sostenuto con i suoi il vicepremier della Lega che nella lista dei cattivi ha indicato anche la ministra della Difesa Trenta. Stavolta Di Maio non si è però fatto trovare impreparato e analoghe riflessioni negative le ha fatte su ben tre ministri in quota Lega: Centinaio («la Coldiretti si lamenta di continuo), Bongiorno («ha tutti i sindacati della PA contro») e Bussetti («rischiamo apertura anno scolastico con scioperi»). Ma se la contromossa di Di Maio serve solo a contenere l'alleato, Salvini insiste e vorrebbe che fossero i grillini a rendersi conto che l'occhialuto assicuratore di Cremona «è un peso per il governo». Ma se è pari e patta su un impossibile rimpasto di governo, il fossato più complicato da riempire è sulla legge di Bilancio. Le risorse disponibili sono poche e alla Lega non va giù il salario minimo come al M5S fa storcere il naso la flat tax. Ad unire in parte i due è però il rapporto con Conte che proprio in quel momento usciva da palazzo Chigi per andare a pranzo con il suo staff e per ribadire che non sono il tipo che si presta a ribaltoni. Anche se Di Maio, reduce da un chiarimento con lo stesso Conte, ha cercato di minimizzare, Salvini continua invece a leggere le parole del premier sulla necessità di parlamentarizzare un'eventuale crisi, come la volontà di Conte di rimanere a palazzo Chigi anche con un'altra maggioranza.
Più che una verità quella del leader della Lega rivela il timore di quanto sia politicamente difficile inerpicarsi sulla strada delle elezioni anticipate come chiedono a gran voce, e da tempo, molti maggiorenti del Carroccio. Anche su questo tema Di Maio ha condiviso con l'alleato analoghe pressioni che gli verrebbero dal Movimento a rompere l'alleanza dopo il via libera dato alla Tav. La voglia di «andare avanti» ha preso comunque il sopravvento sulle rispettive basi. Anche perché Di Maio è terrorizzato dal voto anticipato e Salvini pensa ancora di avere spazi di crescita proprio ai danni del M5S che, una volta ridimensionato, potrebbe anche diventare in futuro una stampella della Lega - migliore del vecchio centrodestra - qualora Salvini alle elezioni non riuscisse a fare il miracolo del 40%. Lasciare al loro destino i teorici della decrescita felice e prendersi onestà-onestà, significa per Salvini puntare su quel 15-20 per cento che rappresenta lo zoccolo duro grillino. D'altra parte la tensione tra i grillini è fortissima e la divaricazione nel M5S tra l'ala governativa e quella movimentista consente a Salvini di risultare l'unica stampella che ha ora a disposizione Di Maio. Il conto che potrebbe essere costretto a pagare il M5S, per evitare la fine anticipata della legislatura, sarà tutto nella manovra di bilancio. Ma il vero ostacolo di Salvini potrebbe essere rappresentato dal duo Conte-Tria. Il ministro dell'Economia ha preso parte ieri al vertice con le parti sociali organizzato da Conte a palazzo Chigi e, secondo il premier, disertato dalla Lega malgrado l'invito. Da Milano Salvini ha messo le mani avanti quando, senza mai nominare il premier ma solo Tria, si è augurato che il governo vada a battere i pugni sul tavolo con la Commissione perché «un forte taglio di tasse non lo fai se obbedisci riga per riga alle imposizioni di Bruxelles».
IL VENTO
Una posizione, quella del vicepremier leghista, diametralmente opposta all'auspicio che qualche ora prima aveva espresso il Capo dello Stato al Quirinale nel corso della cerimonia del Ventaglio. La speranza salviniana approfondisce il solco anche con Conte che, dopo il sostegno dato alla scelta della von der Leyen, intende seguire una linea dialettica con la nuova Commissione, senza strappi e minacce.
Il colpo di pistola dato ieri da Conte all'avvio dei «lavori preparatori alla manovra», è stato attutito dalla tregua estiva siglata dai due vicepremier e dalla tensione che Salvini continua a scaricare sul governo malgrado sinora abbia visto esaudita ogni richiesta. Resta quella delle elezioni - magari a primavera - che servirebbero alla Lega per avere numeri più importanti in Parlamento quando si dovrà eleggere il nuovo Capo dello Stato. Un patto più o meno esplicito con Di Maio per il dopo-voto potrebbe rappresentare per Salvini l'assicurazione che cerca per avere la certezza delle urne. Correre da solo alle elezioni, puntare al 40% e, qualora la Lega non riesca nell'impresa, tornare al governo con il M5S, ma senza i Toninelli.

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