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Data: 22/07/2019
Testata giornalistica: Il Centro
Autonomia differenziata - Marsilio: autonomia, il governo ci chiami. Il presidente della Regione non chiude la porta alle richieste di Veneto, Lombardia e Emilia Romagna: ma senza disparità. Solo Abruzzo e Molise fuori dalle trattative. Delle quindici regioni a statuto ordinario 13 hanno avviato l'iter o impegnato i propri governatori

La maggiore autonomia chiesta da Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, si può discutere, ma valutando con attenzione gli effetti sulle regioni più deboli. È una posizione di attesa, quella espressa dal governatore Marco Marsilio che in un’intervista al Corriere della Sera ribadisce di essere d’accordo con la riforma «se si punta a un dimagrimento delle funzioni dello Stato, ma questo non può avvenire a vantaggio di alcuni e a danno di altri». Inoltre per Marsilio il processo che porta più autonomia alle regioni «deve necessariamente coinvolgere tutti i soggetti istituzionali», dunque le Regioni stesse e non solo il governo o il parlamento. Un pensiero espresso ieri anche dal presidente della regione Sicilia Nello Musumeci che ha chiesto al premier Giuseppe Conte di convocare tutte le Regioni («Ritiene il presidente del Consiglio che sia sensato procedere a un deliberato del governo nazionale senza avere mai convocato a Palazzo Chigi tutti i presidenti di Regione? Ritiene Conte che sia sensato andare verso un testo che raggiunge il duplice effetto di scontentare i richiedenti ed essere totalmente sconosciuto agli altri? ») Il presidente Marsilio non ha dunque una posizione pregiudizialmente contraria sul tema: «Se l’autonomia di alcune Regioni si fa in danno di altre allora non sono d’accordo... Ma è già tutto scritto nella Costituzione e nella legge 42 del ’99 sul federalismo fiscale... I paletti ci sono, basta rispettarli, nel solco del principio solidaristico e dell’unità nazionale». Marsilio, poi, concorda con il mantenimento della funzione statale per l’assunzione dei professori, mentre sul potenziale pericolo che non venga alimentato il fondo perequativo dal quale oggi attingono le regioni più povere, dice: «Non mi risulta che ci sia questa volontà, al di là della propaganda che ho sentito ai tempi dei referendum. Se fosse così, però, sarebbe un’autonomia davvero inaccettabile». Decolla quindi anche in Abruzzo il dibattito che sta infiammando la politica nazionale, alimentando anche le voci di crisi di governo. La questione centrale è quella delle risorse, nella scorsa legislatura la commissione bilaterale per le questioni regionali aveva svolto un’indagine conoscitiva che aveva individuato nel tema delle risorse finanziarie che devono accompagnare il processo di rafforzamento dell’autonomia regionale uno dei punti più delicati del dibattito. Nell’indagine era emersa come centrale l’esigenza «del rispetto del principio, elaborato dalla giurisprudenza costituzionale, della necessaria correlazione tra funzioni e risorse». Dunque, «una volta individuate le competenze e le funzioni che, in base alla specificità della singola Regione, costituiscono l’oggetto dell’attribuzione di maggiore autonomia, devono essere riconosciute alle Regioni le risorse occorrenti per lo svolgimento dei nuovi compiti, sulla base di parametri oggettivi quali i costi standard o i fabbisogni standard. Sempre in tema di risorse, nell’ambito dell’indagine è stato sottolineato come occorra individuare una soluzione che sia «idonea a garantire la stabilità delle risorse, per mettere al riparo il processo di maggiore autonomia da eventuali esigenze contingenti legate a manovre economiche restrittive. Al riguardo l’indicazione emersa nel corso dell’indagine è quella di puntare a forme di compartecipazione al gettito dei tributi sui redditi prodotti nel territorio come strumento principale per l’attribuzione delle risorse necessarie.

Solo Abruzzo e Molise fuori dalle trattative. Delle quindici regioni a statuto ordinario 13 hanno avviato l'iter o impegnato i propri governatori

PESCARA Solo le Regioni Abruzzo e Molise, tra le 15 a statuto ordinario non hanno fatto alcun passo per richiedere una maggiore autonomia delle proprie funzioni. Tutte le altrte, in qualche misura, lo hanno fatto. L'articolo 116 della Costituzione è stato invocato per la prima volta nel 2017 dai governi di Lombardia e Veneto che avevano organizzato un referendum consultivo, stravinto. Essendo consultivi, i referendum non avevano avuto esiti vincolanti per il governo. Però erano serviti a dare maggiore forza politica alla richiesta. Diverso il percorso dell'Emilia-Romagna che ha attivato le procedure dopo un voto in consiglio regionale.Il 28 febbraio del 2017, l'allora governo di Paolo Gentiloni aveva sottoscritto con Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia tre distinti accordi preliminari, che individuavano i principi generali, i metodi e un primo elenco delle materie oggetto dell'autonomia (salute, lavoro, ambiente, istruzione), in vista di un'intesa che al momento non è arrivata.Nel frattempo altre regioni hanno intrapreso l'iter per ottenere più autonomia. Nel luglio del 2018 il servizio studi del Senato aveva pubblicato un dossier in cui si diceva che "l'autonomia differenziata" di fatto coinvolgeva già 13 regioni a statuto ordinario su 15. In particolare, diceva che sette regioni avevano formalmente conferito al loro presidente l'incarico di chiedere al governo l'avvio delle trattative: Campania, Liguria, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana e Umbria. Altre tre regioni non avevano ancora approvato formalmente il mandato, ma avevano assunto iniziative preliminari che in alcuni casi hanno portato all'approvazione di atti di indirizzo (Basilicata, Calabria e Puglia). Mancano all'appello due: Abruzzo e Molise, appunto.

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