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Pescara, 06/07/2025
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23/01/2016
Il Centro
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Conti correnti, 10 miliardi in fuga. È l’1% del totale. Soldi dirottati verso i Fondi, Poste, il “mattone” o tenuti liquidi |
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MILANO Una decina di miliardi. A tanto ammonterebbe il deflusso di liquidità dai conti correnti registrato dal sistema bancario italiano dall’inizio della bufera innescata dal crac dei quattro istituti commissariati (Etruria, Carife, Banca Marche e Cari Chieti) alla fine del novembre dello scorso anno. Ancora poco per suscitare timori, dato che secondo i dati Istat l’ammontare dei depositi di conto corrente degli italiani ammonta a circa 1.000 miliardi di euro, ma sono molti i segnali che confermano che i risparmiatori non sono rimasti fermi. Innanzitutto c’è un forte trend positivo per Poste Italiane: i vertici della società quotata da poche settimane non diffondono dati e rinviano al prossimo Cda che approverà la bozza di bilancio del 2015 ma in molti uffici postali non vedevano così tante richieste di apertura di nuovi libretti postali da almeno cinque anni, cioè dallo scoppio della crisi finanziaria. Quello che è certo è il deflusso dai conti correnti per riportare il tetto di depositi ampiamente sotto i 100mila euro. Non sono pochi, infatti, quei clienti che preferiscono la liquidità a qualsiasi forma di investimento, anche i Titoli di Stato, e che con l’avvio del bail-in (cioè l’estensione anche ai correntisti oltre la soglia dei 100mila euro delle possibile perdite di una banca) sono corsi a spostare le somme eccedenti. Il risparmio, che come ha certificato l’Istat, ha ripreso a crescere in modo sostenuto nel 2015 (raggiungendo il 9,5% del reddito) sta tornando rapidamente verso il mattone (i mutui sono in crescita del 9% e le compravendite del 5,4%) ma non disdegna i vari prodotti gestiti. “Anima” che è uno dei principali gruppi del risparmio gestito ha registrato una crescita delle masse amministrate del 17% nel 2015 portandosi a 66,9 miliardi di euro (8,4 in più rispetto alla fine del 2014), molto superiore alla media Istat dell’incremento di quota di risparmio. La paura della tenuta del credito non è comunque destinata a svanire almeno sino al varo degli strumenti legati alle bad bank. Il prezzo di cessione dei crediti in sofferenza sarà pari a circa il 20-30% del loro valore nominale a fronte di livelli di copertura medi del 56,5% per i prestiti in sofferenza del settore: 40-50% per le piccole banche italiane e 60-65% per Intesa Sanpaolo, Unicredit e Mps. Facendo un esercizio semplicistico, e prendendo in considerazione solo il portafoglio delle sofferenze, pari a 200 miliardi di euro e assumendo un taglio medio del 75%, gli analisti di Credit Suisse calcolano che gli istituti italiani avrebbero bisogno di altri 37 miliardi di euro per l’intero settore. Da qui alla fine del 2016 scadono prestiti bancari, quelli del tipo più rischioso, per quasi 6 miliardi di euro piazzati negli anni scorsi da Unicredit (1,4 miliardi), Intesa (280 milioni), Ubi (65 milioni). Il Monte dei Paschi dovrà rimpiazzare due emissioni per un totale di quasi 800 milioni mentre Carige ha 350 milioni di bond a fine corsa. Gli obbligazionisti di Mps hanno perso il 22,6% del valore dei bond detenuti, rispetto a soli 2 mesi fa. Numeri che fanno paura agli investitori e ai risparmiatori che cercano porti sicuri, anche quello dell’oro: secondo i grandi operatori internazionali è soprattutto la domanda proveniente dall’Italia a sostenere il rialzo del metallo giallo che nelle ultime due settimane ha recuperato diverse posizioni.
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